L’articolo di Adam Wolfson è straordinario non soltanto per la lucidità e la chiarezza espositiva con cui descrive le origini intellettuali e politiche del pensiero neoconservatore. Lo è anche perché segna, finalmente, un punto di svolta nel dibattito sui neoconservatori. Il 2002 è stato l’anno in cui i giornali non si sono accorti dei neocon. Viceversa nell’anno appena trascorso, il 2003, non c’è stato articolo, saggio, convegno o libro che non li vedesse al centro di complotti o come autori delle peggiori nefandezze. Il 2004 si è aperto invece con una serie di articoli che per la prima volta non li descrive come una cabbala di ebrei che ha dirottato la Casa Bianca (cosa peraltro falsa, perché la dottrina dell’esportazione della democrazia come la più formidabile arma per difendere i propri interessi nazionali è una costante della politica estera americana, sia pure in perenne lotta con l’isolazionismo e il realismo). Fin qui i neocon sono stati descritti come proto-fascisti, imperialisti, fanatici religiosi, militaristi, bancarottieri e finanche comunisti. Ora c’è questo saggio di The Public Interest a rimettere le cose a posto. Ma sono comparsi anche un paio di articoli sul New York Times, dove peraltro da tempo l’editorialista liberal Thomas Friedman promuove le stesse idee dei neocon, solo con uno stile più politicamente corretto. C’è stato un ottimo saggio di James Traub sul magazine di due domeniche fa, ma è stato David Brooks, ex firma del Weekly Standard e oggi columnist fisso del Times, a screditare le tesi complottistiche. Stessa cosa ha fatto Max Boot sul numero di gennaio di Foreign Policy, rivista liberal clintoniana. Complice anche l’uscita del libro di Richard Perle e David Frum (di cui Il Foglio ha scritto all’inizio dell’anno) si comincia, insomma, a ridelineare il ritratto dei neocon e a sfatare alcuni miti. Il principale è quello che i neocon si riuniscano per decidere dove attaccare e come spartirsi il bottino. E che la madre di tutti i complotti neocon fu preparata molti anni fa nelle segrete stanze del Project for the New American Century (Pnac). I neocon, invece, non si riuniscono, per il semplice motivo che non esiste un partito o un’associazione neocon. Tra di loro, peraltro, mal si sopportano. Michael Ledeen, uno di loro, al Foglio ha detto di non aver mai letto il documento del Pnac, il quale peraltro è un minuscolo centro studi con 5 persone di staff. Il terribile Richard Perle, ha scritto Brooks sul New York Times, non ha mai incontrato Bush o Cheney da quando sono entrati alla Casa Bianca. "Ci dispiace, cari aficionados dei complotti ha scritto Boot i neocon hanno avuto una relativa influenza per la forza dei loro argomenti, non per le loro connessioni".
13 Gennaio 2004