New York. Richard Perle, intellettuale neoconservatore, mercoledì ha ricevuto una quindicina di giornalisti per spiegare che cos’è e come si vince la guerra al terrorismo, un’occasione per presentare il suo libro, An End to Evil, scritto con David Frum, del quale Il Foglio ha parlato il 3 gennaio. L’appuntamento è stato ospitato al quarantottesimo piano di Penn Plaza, negli uffici dello studio legale Milberg-Weiss-Bershad-Hynes & Lerach, i cui nomi messi di fila potrebbero far venire il mal di testa ai sostenitori dei complotti escogitati dalla lobby ebraica. La sala ha una vista spettacolare sulla zona Sud di Manhattan, Perle è partito proprio da quella vista, da quelle due Torri che da due anni e mezzo non si vedono più, per spiegare la guerra che l’America, e gli alleati che l’hanno compresa, stanno combattendo: "L’11 settembre non ha soltanto cambiato la vista sulla città, ma anche il modo in cui l’America si vuole proteggere. I terroristi non sono pochi banditi da rincorrere tra le montagne dell’Afghanistan, sono un movimento fondamentalista e profondamente ideologico, come lo furono il nazismo e il comunismo, con una visione islamica estremista che considera infedeli tutti gli altri, compresi alcuni islamici, e che in quanto tali vuole ucciderli o convertirli. Noi non lo permetteremo, ovviamente. E la strada è quella di sostenere il cambiamento di politica estera attuato dal presidente Bush che consiste nel non fare distinzioni tra i terroristi e gli Stati che li sostengono". Punto.
Perle ha ricordato che se non ci fosse stato l’Afghanistan talebano con i suoi campi di addestramento e il sostegno logistico, i terroristi non avrebbero mai potuto organizzare l’undici settembre. Così come le ricerche sulle armi biologiche e chimiche possono avvenire soltanto se c’è uno Stato che garantisca ai terroristi uno scudo protettivo. "La minaccia è visibile", dice Perle. Il punto è intenderci su cosa sia terrorismo e su quali siano gli Stati che lo sponsorizzano. Perle, a differenza di Bush, inserisce anche l’Arabia Saudita tra i nemici dell’Occidente: "Ora dicono di aver tagliato i rapporti con il terrorismo, però continuano a finanziare società, scuole e moschee dove propagandano la fine della civiltà occidentale e dove gli Stati Uniti sono l’unico ostacolo".
Quanto all’Europa, ha detto Perle, "è comprensibile che alcuni europei siano meno preoccupati di noi, del resto siamo noi sotto attacco, non loro. La Francia, però, gioca un’altra partita, quella di unificare l’Europa contro l’America, un’Europa che faccia da contrappeso agli Stati Uniti. Non credo che il resto degli europei sia d’accordo". Le Nazioni Unite, poi, non sono in grado di definire la minaccia, perché sono nate nel secondo Dopoguerra per far fronte a un mondo che non c’è più. Oggi all’interno dell’Onu c’è un 40 per cento di membri che è retto da dittature, il risultato è la paralisi".
Critica Foggy Bottom, soprattutto per l’Iran
"La Cia non si è adeguata alla nuova sfida, abbiamo agenti che parlano russo e nessuno che conosce l’arabo", così come il Dipartimento di Stato, il ministero degli Esteri con il quale i neocon sono spesso in rotta: "Colin Powell è un mio vecchio amico, ma sono spesso in disaccordo con lui, la guerra al terrorismo non può essere condotta da un organismo diplomatico abituato a trattare con gli ambasciatori. I nostri avversari non dialogano, sono gruppi fondamentalisti che uccidono chiunque gli capiti a tiro".
Il nuovo corso della politica estera americana difficilmente cambierà, intanto perché Perle crede che Bush sarà rieletto. Kerry potrebbe vincere ma Perle nota già come, man mano che si avvicina a ottenere la nomination democratica, diventi sempre più realista: "Se sei candidato alla nomination di un partito come quello democratico, dominato dal radicalismo di sinistra, devi necessariamente dire le cose che fin qui ha detto Kerry. Ma quando otterrà la nomination dirà altre cose".
Bush, invece, nonostante le critiche e le pressioni dei Democratici, non allenterà la presa dice Perle è deciso e concentrato, i risultati con la Libia e i progressi in Iraq gli danno ragione, ma l’Amministrazione dà spesso segnali contraddittori ai signori del terrore. Sull’Iran, per esempio, "il presidente si è schierato al fianco degli studenti che lottano per la democrazia, mentre il sottosegretario Richard Armitage ha detto che è già una democrazia". Perle, che dopo 17 anni si è dimesso dal centro studi del Pentagono, ha ribaltato l’accusa che spesso si fa ai neocon: "La mia linea è la stessa di quella del presidente, ma non coincide con quella di molte persone che gli stanno intorno".