New York. I geni che hanno scelto Boston quale luogo della convention Democratica che incoronerà lo sfidante di George W. Bush, magari se ne sono già pentiti. Si dice che i liberal si sentano più a casa a Boston che in America. E’ una battuta, ma il Massachusetts è sinonimo di elitismo di sinistra (il clan Kennedy), di aumento delle tasse (Tassachussetts) e di candidati alla presidenza perdenti (Ted Kennedy, Michael Dukakis, Paul Tsongas). Ora il più probabile avversario di Bush è John Forbes Kerry (JFK), bostoniano, 19 anni in Senato, studi in Svizzera e Yale, miliardario e, come dice sua moglie Teresa Heinz, monopolista del ketchup, uomo elegante dai modi francesi. Un senatore aristocratico che, secondo una definizione di Ted Kennedy, si sente più a suo agio a Davos sorseggiando vino rosso da 400 dollari a bottiglia che nel Midwest con una diet coke. Questa immagine più la convention a Boston più il matrimonio gay appena legalizzato in Massachusetts, potrebbe pesare più della guerra in Iraq e della crisi dei posti di lavoro imputabili a Bush. E’ una strategia polverosa ma funzionò quando il Karl Rove di Bush senior, Lee Atwater, la applicò su Mike Dukakis, ex governatore del Massachusetts del quale Kerry era il vice. Dukakis perse quando, per mostrarsi affidabile sulla sicurezza, si fece fotografare su un carro armato ma con un elmetto due misure più grandi. Con Kerry, ovviamente, questo non può funzionare: è stato un eroe del Vietnam, al contrario di Bush che servì il suo paese in Texas, nella Guardia nazionale. E’ molto probabile, allora, che la campagna anti Kerry si giocherà sul suo record al Senato, sulle sue cangianti posizioni che lo descrivono come un politico attentissimo a prendere la posizione più conveniente del momento, più che un solido uomo di principi. Kerry, per esempio, non fu soltanto eroe di guerra in Vietnam. Appena tornato in patria divenne anche eroe dell’opposizione della guerra in Vietnam. Kerry, nella cattolica Boston, è sempre in prima fila ai cortei per San Patrizio, ma il Boston Globe ha scoperto che, in realtà, è anche un po’ ebreo.
Tre è il suo numero perfetto. Su ogni questione lui ha tre posizioni: sì, no, vediamo che succede. "Kerry ha detto a Time il portavoce di Howard Dean non trova mai un lato di una questione che non gli dispiaccia". Ted Kennedy, che lo appoggia, lo trova "un po’ falso". Nel 1991 JFK si oppose alla guerra del Golfo, ma inviava lettere con due posizioni diverse: condivido la sua preoccupazione pacifista, ho votato contro la guerra, scrisse a Wallace Carter il 22 gennaio 1991; sostengo inequivocabilmente l’intervento in Iraq, gli scrisse nove giorni dopo. Kerry ha votato sì all’attuale guerra in Iraq ma, per inseguire il pacifista Dean, ha detto di no agli 87 miliardi di dollari per l’occupazione e la ricostruzione (e accusa Bush di non volersi impegnare a fondo e di cercare una via d’uscita). Ora dice che la guerra non andava fatta e che le libertà civili sono in pericolo, a causa del Patriot Act che però lui stesso votò. E’ contro il matrimonio gay, ma è uno di quei 14 senatori che votò contro la legge clintoniana in difesa del matrimonio. In 19 anni non è mai riuscito a far passare una legge importante a suo nome e, voti alla mano, è ben più di sinistra di Kennedy. Ha votato contro la pena di morte per i terroristi, ma ora è favorevole. Vuole cacciare gli "interessi particolari" dalla Casa Bianca ma è il senatore che negli ultimi 15 anni ha ricevuto più finanziamenti dalle lobby. Con Kerry il sì non è mai sì, il no non è mai no.
7 Febbraio 2004