Camillo di Christian RoccaLe reazioni a The Passion

New York. Ventiquattro cinema a Manhattan e quasi tremila in tutti gli Stati Uniti sono stati invasi dal popolo di Mel Gibson, cristiani praticanti, fedeli, gruppi ecclesiali, cittadini comuni, molti dei quali con il segno delle Ceneri sulla fronte. Non c’è stato il tutto esaurito, ma poco c’è mancato. A New York s’è vista qualche timida manifestazione organizzata da rappresentanti della comunità ebraica e da politici democratici che hanno rilasciato dichiarazioni del tipo: "Goebbels sarebbe molto orgoglioso di Gibson". Un deputato al Congresso, eletto a Brooklyn, ha chiesto alla NYPD, la polizia di New York, di pattugliare il suo quartiere, ché teme atti di antisemitismo da parte di orde di cristiani che all’uscita dal cinema, anziché farsi una pizza, potrebbero attaccare le istituzioni ebraiche. Ma, al di là del colore, qualche preoccupazione c’è anche nelle gerarchie cattoliche. La Conferenza episcopale ha rimesso in circolo un libretto con la giusta interpretazione dei Vangeli sulla questione della morte di Cristo, mentre il cardinale di New York, Edward Egan, con una lettera pubblica inviata alle 413 parrocchie della sua diocesi, ha ricordato ai cattolici che gli ebrei non sono da accusare per la morte di Gesù. Egan ha spiegato che la dottrina della Chiesa è "chiarissima" su questo punto e che la polemica sull’antisemitismo del film è "molto preoccupante" perché, "se fosse così, saremmo tutti perdenti".
Sui giornali americani, come ieri sul Foglio, sono apparse le prime recensioni di chi ha visto il film in anteprima. Ai critici cinematografici dei grandi giornali non è piaciuto, non è piaciuto il film, non è piaciuto il messaggio, non è piaciuta l’operazione. "All’inizio sembra un film dell’orrore", ha scritto il New York Times. "Non c’è complessità psicologica", se non nel rapporto tra Ponzio Pilato e sua moglie, interpretata da una Claudia Gerini che il critico del Times giudica brava e spera possa diventare nota presso il pubblico americano. "Ciò che rende questo film tetro e sgradevole è l’incapacità di Gibson di pensare oltre la logica convenzionale della narrazione del film (). ‘The Passion’ non fornisce mai un chiaro motivo che spieghi tutto questo spargimento di sangue. Una sconclusionatezza che è il più grave fallimento artistico di Gibson". Il New York Times ha anche organizzato un forum, a Chicago, con otto preti e rabbini, cattolici, protestanti, ortodossi ed ebrei: "Erano tutti d’accordo, erano tutti turbati da quello che avevano visto". La critica cinematografica del Washington Post ha scritto che i leader ebraici hanno ragione a lamentarsi e ha invitato i genitori a non portare i figli al cinema. L’iper liberal Village Voice inizia la sua recensione con un "benvenuti, amici, ai tempi del Medio Evo", giudizio simile a quello espresso su Time, secondo cui "il film di Gibson è teologicamente intonato ai tempi: il 1300".
Sul sito di National Review, rivista iper conservatrice, compaiono invece otto recensioni favorevoli: "Dopo Passion, i film non saranno più come prima" si legge in una delle otto. Un’altra è del rabbino Daniel Lapin, intervistato dal Foglio qualche giorno fa: "The Passion" non è antisemita. The Forward, storico giornale della comunità ebraica newyorchese, evidenzia la frase che il Gesù di Gibson dice per discolpare Pilato e accusare Caifa, il capo religioso degli ebrei: "Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande". Forward commenta: "Ecco, in una frase, la risposta a mesi di speculazioni".
Il New Yorker ha dedicato al film l’articolo principale: "’The Passion’ è pericoloso?". L’autore è David Denby: "Gibson mostra poco interesse nel celebrare la carica elettrica di speranza e di redenzione che Gesù Cristo ha portato nel mondo", "rischia di alterare il messaggio di Cristo, che è d’amore, in un messaggio di odio". Denby considera Gibson un fanatico, teme per le famiglie che porteranno i figli al cinema e conferma le preoccupazioni di chi sospettava che il film fosse antisemita. Per il New York magazine, "’The Passion’ non è un film sulla riconciliazione" e "il suo motore non è la passione ma la rabbia". Secondo l’autore della recensione, Peter Rainer, "gli antisemiti non hanno bisogno di una scusa per essere antisemiti", il film quindi è pericoloso perché ci sarà qualcuno che si convincerà che "la marea di sangue di Gibson è sinonimo del vero sentimento religioso".

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