Camillo di Christian RoccaTutti giù per terra/2

Charleston (Carolina del Sud). La notizia è che Howard Dean stavolta non ha urlato, nonostante le sette batoste in altrettante primarie prese in pochi minuti da John Kerry, John Edwards e Wesley Clark. In Carolina del Sud non gli sono serviti i cartelli "African Americans for Dean", qui è arrivato addirittura sotto il reverendo Al Sharpton. E in Delaware dietro Joe Lieberman. Il girotondismo made in Usa continua a non essere preso sul serio dagli elettori, non dagli americani in generale, ma dagli elettori dello stesso partito che Dean vorrebbe restituire ai gloriosi splendori. L’ex governatore del Vermont non se ne capacita, non vuole e non può credere che il giocattolo, il suo, quello più figo, si sia rotto. L’effetto, se possibile, è ancora più devastante delle urla belluine dell’Iowa. Ora Dean sembra il giapponese sull’isoletta al quale non hanno comunicato che la guerra è finita, il bimbo bizzoso che dopo Carosello non vuole andare a letto, un "sore loser", come dicono gli americani, un perdente che "nun ce vole sta".

"Con me c’è chi vuole un vero cambiamento ­ ripeteva martedì sera in piena trance agonistica ­ non un semplice passaggio di poteri tra circoli di Washington". Il messaggio, forte e chiaro, è sempre lo stesso: "Il vero cambiamento non può arrivare da un Democratico che per metà del tempo si comporta da Repubblicano". Il riferimento è a John Kerry, il più probabile e credibile sfidante di Bush. Dean gli imputa un’inchiesta del Washington Post, secondo cui Kerry negli ultimi 15 anni è stato il senatore che ha ricevuto più finanziamenti dalle lobby e dagli interessi speciali. Anche Newsweek ha pubblicato un articolo sui finanziamenti di un equivoco imprenditore cinese al senatore del Massachusetts. Era il 1996, un momento in cui Kerry aveva disperatamente bisogno di soldi per la rielezione. E fece un favorino al cinese, combinandogli un incontro con i vertici della Sec, la Consob americana. Non che Kerry avesse le pezze al culo, per usare un’espressione cara ai girotondini italiani, ma certo la campagna elettorale sua e quella di Clinton ne uscirono più ricche. Sia come sia, l’argomento non ha certo convinto gli elettori ad abbandonare i leader per affidarsi a Dean, il candidato che scalda i cuori.
L’ex governatore però insiste, anche perché la sua candidatura è davvero indipendente, non è nata nei circoli di Washington, non ha grandi finanziatori, non ha legami con lobby o quant’altro. La formidabile organizzazione creata da Joe Trippi, ora licenziato e assunto dalla Msnbc come commentatore politico, ha arruolato forze e raccolto denaro su Internet e nei campus univesitari. Trecentomila persone hanno contribuito alla campagna, con una media di sette dollari per ciascun versamento.
Eppure non basta, tanto che Dean ha licenziato Trippi e assoldato un uomo del Palazzo, uno che più establishment non si può, Roy Neel, ex lobbysta delle telecomunicazioni e grande amico di Al Gore.

Per gli analisti è finita "anche se lui non lo sa"
E’ finita dunque? Gli analisti politici credono di sì, "anche se lui ancora non lo sa" ha detto martedì sera Bill Bennet, ex ministro di Ronald Reagan. Dean non molla di un centimetro. Martedì sera, dopo la sconfitta, continuava a essere certo della vittoria finale. I suoi argomenti restano i soliti, ma più passa il tempo più perdono di credibilità: fin qui sono stati scelti soltanto il 10 per cento dei delegati, dice, quindi la battaglia è ancora aperta. Sostiene che non conti il numero delle vittorie ma il numero dei delegati ottenuti. Terry McAuliffe, gran visir del partito democratico, aveva chiesto di ritirarsi ai candidati che dopo martedì non avessero vinto in nessuno dei nove Stati. Solo Gephardt e Lieberman lo hanno fatto. Dean crede di poter vincere già subito nello Stato di Washington e in Maine. Dovesse andare storto, "andremo avanti, in Wisconsin, in Virginia e così via". Se perdesse anche lì, fa niente: "Andremo nello Utah, nello Idaho, alle Hawaii". Poi c’è solo il muro rappresentato dal super tuesday del 2 marzo, giorno in cui si voterà nei grandi Stati. Se Kerry avrà raggiunto la maggioranza dei delegati, Dean probabilmente si ritirerà. Intanto vuole combattere, accusa il suo partito, dà di repubblicano a Kerry, si radicalizza ogni giorno di più. Alla fine, lo ha ripetuto anche martedì, appoggerà chiunque vinca le primarie perché la formula vincente dicono sia ABB, Anybody but Bush, chiunque purché non sia Bush. I Democratici sono d’accordo, con una postilla: contro Bush, ABD, anybody but Dean.

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