Qui c’è la prova che gli zapateros hanno ragione: "L’obbligo di uccidere gli americani e i loro alleati, civili e militari, è un dovere individuale per ogni musulmano che potrà farlo in tutti i paesi dove sarà possibile farlo". La fatwa dei fondamentalisti di Osama bin Laden è chiarissima, ucciderli tutti, americani e alleati, in ogni paese, ovunque sia possibile, casa per casa. L’analisi politica è ancora più interessante, ed è quella che dà ragione agli zapateros: la strage di Madrid è stata fatta per vendicare il sostegno spagnolo alla guerra irachena di Bush. Bin Laden, infatti, parla di "occupazione" e dice che "la miglior prova di questa occupazione è la continua aggressione contro il popolo iracheno" e che "l’alleanza tra crociati e sionisti ha inflitto una grande devastazione al popolo iracheno, uccidendo una grande quantità di iracheni, più di un milione". Per questo è dovere islamico uccidere "il Satana americano e i suoi alleati, cosicché imparino la lezione".
Visto? Hanno ragione gli zapateros, il massacro di Madrid ha radici nella guerra di Bush all’Iraq. Un momento. Che cosa avete capito? Non nella guerra in Iraq di Bush junior, non in Iraqi Freedom, non nella guerra illegittima e ideologica scatenata dall’unilateralista Bush figlio influenzato dalla lobby filosionista dei neoconservatori. Queste parole di bin Laden sono contenute nella famosa Fatwa di al Qaida, risalgono al 23 febbraio 1998 e seguono la guerra multilaterale per eccellenza, il conflitto con l’egida dell’Onu, voluto da Bush senior col consenso dei leader arabi, escluso il solito Arafat. Bin Laden si riferisce alla guerra del 1991, quella per difendere un paese arabo, il Kuwait, dall’aggressione di Saddam. Non solo. Queste parole di bin Laden sono state scritte cinque giorni dopo il discorso di Bill Clinton al Pentagono, era il 18 febbraio 1998, pronunciato nei giorni in cui gli americani concentravano truppe al confine con l’Iraq, pronte a invaderlo. Clinton disse che se "non saremo in grado di rispondere oggi, Saddam e tutti quelli che seguiranno la sua scia, domani saranno incoraggiati e un giorno, in qualche modo, ve lo garantisco, Saddam userà il suo arsenale". Clinton garantiva, per cui lanciò un paio di missili contro Baghdad, poi a causa dello scandalo Lewinsky fu costretto a occuparsi d’altro, ma qualche mese dopo fece approvare una risoluzione che impegnò gli Stati Uniti a perseguire la politica del "regime change" in Iraq, quella che ha applicato Bush, senza che gli zapateros lo ricordino mai nei loro corrucciati ragionamenti.
Gli zapateros, dunque, credono che il motivo delle stragi sia la liberazione dell’Iraq e non si accorgono che chi mette le bombe e uccide i civili, in Spagna come in America, in Turchia come in Iraq, in Indonesia come in Marocco, in Israele come in Arabia Saudita, è un arcipelago fondamentalista para nazista che dice di amare la morte così come noi amiamo la vita. I terroristi lo ripetono sempre, a ogni massacro, a ogni carneficina, a ogni corpo di innocente divelto, ma gli zapateros credono che lo facciano per colpa di Bush, così sfilano in corteo contro Bush e credono che se Bush lasciasse la Casa Bianca i terroristi diventerebbero buoni come al pranzo di Pasqua. Non tengono conto, gli zapateros, che i fondamentalisti hanno iniziato l’attacco all’America nel 1993 con il primo tentativo di far crollare le Torri Gemelle di New York (6 morti, mille feriti), con l’attacco del 1996 alla base di Dhahran (19 morti), con gli assalti del 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania (225 morti, 5 mila feriti), con la strage del 2000 contro l’Us Cole (17 morti). Poi c’è stato l’11 settembre 2001 (3 mila morti).
Al contrario degli zapateros, Bush non ha sottovalutato quel "noi amiamo la morte, come voi amate la vita" dei terroristi, e ha risposto che "sì, noi amiamo davvero la vita e crediamo nei valori che sostengono la dignità della vita: la tolleranza, la libertà e la libertà di coscienza. E sappiamo che questo modello di vita merita di essere difeso. Non c’è una via di mezzo nella lotta tra la civiltà e il terrorismo, perché non ci può essere una via di mezzo tra il male e il bene, tra libertà e schiavitù, tra la vita e la morte. La guerra al terrorismo non è un discorso retorico. E’ una chiamata inevitabile per la nostra generazione. I terroristi non ci odiano per le nostre politiche, ci odiano perché esistiamo, perché siamo nazioni libere. Nessuna concessione placherà il loro odio".
Romano Prodi, invece, dice che per sconfiggere il terrorismo ci vuole la politica, e oggi politica per lui vuol dire approvare la Costituzione europea, europea non irachena o afghana o saudita o siriana o iraniana. Prodi crede che di fronte ai burocrati di Bruxelles bin Laden dichiarerebbe la resa.
E’ ancora più incredibile che siano gli spagnoli a non tener conto di che cosa muove i terroristi. Ai tempi della guerra civile spagnola, lo slogan dei fascisti era "W la muerte", uguale a quello dei fascisti islamici di oggi. Quello degli antifascisti, invece, era "¡No Pasarán!". Gli zapateros hanno scelto il "¡Sì Pasarán!" e, come ha ricordato domenica Stefano Folli sul Corriere, anche in Italia si dimentica che Guernica è stata una strage nazista, non americana.
Mentre la sinistra non fa la sinistra e in piazza prende botte da quelli che essa stessa definisce "fascisti", mentre in tv e sui giornali invoca l’Onu, l’Onu senza consultarli ha già deciso di tornare a Baghdad, da dove in realtà non è mai andata via. L’Onu, nonostante le chiacchiere di Massimo D’Alema e dei suoi amigos, è pienamente coinvolta nel processo politico iracheno, fin dall’inizio. Il calendario del passaggio dei poteri agli iracheni è stato redatto su indicazione della risoluzione 1511 del Consiglio di sicurezza. Sulla base di quel calendario, sigillato dall’Onu, il 30 giugno gli iracheni inizieranno ad autogovernarsi e l’autorità provvisoria di Paul Bremer di dissolverà. Sarà dura, forse è troppo presto, ma la transizione, qualsiasi cosa dicano gli zapateros, sarà garantita dall’Onu, nonostante né l’Onu né gli iracheni volessero. L’Onu non voleva perché sa che la partita è delicata, gli iracheni perché tuttora non si fidano di chi, in combutta con Saddam, ha rubato molti miliardi iracheni dal programma "Oil for food". Sono stati gli americani a convincere il Consiglio governativo iracheno a richiedere l’aiuto dell’Onu. Ora le Nazioni Unite accompagneranno l’Iraq al voto e si parla di una nuova risoluzione per il dopoguerra. Già, perché mentre gli zapateros vorrebbero commissariare gli iracheni, gli iracheni hanno deciso, col benestare dell’Onu, che entro il 31 gennaio voteranno liberamente.
Ieri, infine, è arrivata la penna apocalittica di Barbara Spinelli a raccontarci che la guerra in Iraq è una grande vittoria di bin Laden. A Spinelli probabilmente deve essere sfuggita la lettera di Al Zarqawi, l’uomo di Osama in Iraq, indirizzata ai suoi capi. Al Zarqawi è di Ansar Al Islam, gruppo terrorista che operava in territorio curdo-iracheno, col sostegno di Saddam. Nella lettera trovata in Iraq e sfuggita a Spinelli, Zarqawi scrive che il jihad contro gli americani sta andando molto male, intanto perché i "bastardi" e "codardi" non sono scappati né scapperanno, nonostante gli attentati e le perdite subite. E poi perché sono arrivati pochi combattenti arabi. Ma, soprattutto, perché gli iracheni non vogliono sapere né di martirii né di guerre sante e non consentono ai terroristi arabi di usare le case private come basi operative. Con parole sue: "Facciamo le valigie e lasciamo il paese per cercarne un altro, come è scritto nella triste e ricorrente storia dei luoghi del jihad, perché il nostro nemico cresce più forte giorno dopo giorno, e aumenta anche la sua capacità di intelligence". Ancora: "Non c’è dubbio che il nostro campo d’azione si stia restringendo e che la stretta intorno alla gola dei Mujahidin abbia iniziato a serrarsi. Con il diffondersi dell’esercito e della polizia (irachena, ndr), il nostro futuro comincia a essere spaventoso". Al Zarqawi, il quale si vanta di aver fatto 25 stragi, probabilmente anche quella di Nassiriyah, dice che l’unica speranza è far strage di sciiti in modo che diano la colpa ai sunniti. L’unica via, scrive Zarqawi, è quella di scatenare la guerra civile, ma è un’impresa complicata perché a quel punto aumenterebbe il distacco "tra noi e la gente della zona". In ogni caso, spiega Zarqawi ai suoi capi "nascosti nelle montagne", bisogna far presto: "La democrazia sta arrivando, a quel punto non ci saranno più scuse". Loro, i fascisti islamici, hanno capito che la battaglia è per la democrazia, e hanno compreso che la libertà è il loro nemico. L’ayatollah Khomeini, già nel 1977, diceva che "la vera minaccia all’Islam non viene dallo Scià, ma dall’idea di voler imporre in terra islamica il sistema democratico occidentale, che altro non è se non una forma di prostituzione". Resta un mistero come non lo abbiano capito Spinelli, D’Alema e gli zapateros.
24 Marzo 2004