Fossi Mel Gibson direi al Signore di perdornali perché non sanno di che cosa stanno parlando, ma sono un altro e Taliban Gibson mi sta sulle scatole, per cui prendo carta e penna e non li perdòno. Non perdòno l’ignoranza di Piero Fassino, di Massimo D’Alema e di Eugenio Scalfari, per scegliere i migliori di quel campo, sulla situazione in Iraq. Non li sto accusando di non conoscere che cosa succeda laggiù, sarebbe troppo facile, come tirare un rigore a porta vuota viste le fonti di cui si servono. Il punto è un altro, ben più grave: i tre zapateros non sanno che le cose che scrivono negli editoriali, che dicono nelle interviste e che propongono nelle mozioni parlamentari, sono il programma di George W. Bush e degli iracheni.
Non suoni iperbolico. Non è uno scherzo. Non solo, c’è altro: il programma è stato già realizzato. Non ci credete? Nemmeno io ci credevo quando ho letto le cose che i tre zapateros invocano come condizioni "sine qua non" le truppe italiane saranno ritirate. Quelle condizioni, le stesse, sono già previste nei documenti ufficiali dell’Onu, e sono state già realizzate. Le cose che vorrebbero imporre all’unilateralista Bush, sono già obiettivo raggiunto unilateralmente da Bush e dagli iracheni e dall’Onu.
In sintesi: i tre dicono che in Iraq ci vuole l’Onu sennò i soldati dovranno rientrare. Diamo una notizia ai tre zapateros: l’Onu c’è già stata, è stata coinvolta, e ha già posto le basi per continuare. Mentre l’onorevole D’Alema invocava svolte già ampiamente svoltate, il Consiglio di Sicurezza aveva approvato all’unanimità, col voto della Francia e della Russia, tre risoluzioni, la 1483, la 1500 e la 1511. La 1483 è stata votata pochi giorni dopo la caduta di Saddam e ha riconosciuto il ruolo della coalizione-potenza occupante, ha stabilito il ruolo delle Nazioni Unite attraverso un Rappresentante Speciale (Sergio Vieira De Mello, poi ucciso dai fascisti islamici) e ha tolto le sanzioni economiche all’Iraq. La risoluzione 1500, approvata poche settimane dopo, ha riconosciuto il Consiglio governativo iracheno come l’organo rappresentativo del nuovo Iraq e ha stabilito i contorni della Missione Onu di Assistenza all’Iraq (UNAMI). La 1511, di metà ottobre, è intervenuta nel merito della ricostruzione e del processo politico e ha delineato i compiti di tutti i soggetti in campo, cioè della Autorità provvisoria guidata da Paul Bremer, del comando militare internazioneale, del Consiglio governativo iracheno. Il tutto con la supervisione dell’Onu medesima. Fassino a Repubblica ha detto che "se in Iraq non si realizzasse un calendario elettorale con una transizione garantita dall’Onu e il passaggio dei poteri" le truppe andrebbero ritirate, eppure era lo stesso Fassino, il 20 ottobre 2003, a dire in un’intervista a Paolo Franchi del Corriere della Sera, che "la risoluzione 1511 dell’Onu supera l’unilateralismo di Bush, avallato da Berlusconi, e riapre la strada a una strategia fondata sul multilateralismo e su un ruolo cruciale delle Nazioni Unite". Le precondizioni che Fassino chiede oggi a muso duro, lo stesso Fassino preZapatero di 5 mesi fa riconosceva come già realizzate, tanto da salutarle con gioia: "E’ cambiato il quadro disse Fassino Fino ad ora abbiamo contestato la legittimità di un intervento unilaterale, deciso senza un mandato dell’Onu. Adesso, le cose non stanno più in questi termini". Le cose cinque mesi fa non stavano più in quei termini, che cosa sia cambiato cinque mesi dopo non è dato saperlo, ma forse semplicemente non è riuscito a convincere il suo partito.
Uno potrebbe dire: magari le scadenze fissate dalla Risoluzione 1511 non sono state rispettate, sarà per questo che Fassino insiste. E’ così? No, non è così. E’ vero il contrario. La Risoluzione 1511 imponeva, entro il 15 novembre 2003, un accordo da presentare in sede Onu tra iracheni e Autorità provvisoria sui passaggi chiave e sulle scadenze del trasferimento dei poteri. Il 15 novembre, alla data prevista dalla 1511, l’accordo (The November 15 Agreement) è stato presentato a Kofi Annan. Il documento fissava un calendario, una scadenza per l’approvazione della Costituzione provvisoria, una data per l’accordo sulla sicurezza, il giorno della fine dell’occupazione e del trasferimento della sovranità, una data per eleggere l’Assemblea costituente, e termini più lontani per la Costituzione definitiva e le prime libere elezioni.
Fassino dovrebbe ricordarsi anche questo schema, visto che nella stessa intervista di cinque mesi fa al Corriere, disse che "dovrà essere indicato un percorso chiaro che indichi tempi e modi del progressivo trasferimento del destino dell’Iraq nelle mani degli iracheni". Ebbene, forse gli è sfuggito, ma quel "percorso chiaro" un mese dopo la sua intervista al Corriere è stato "indicato", e tappa dopo tappa, grazie al coinvolgimento dell’Onu, è stato già percorso per buona metà.
Ricapitoliamo: a seguito del processo avviato dalla Risoluzione Onu 1511, l’Iraq ha una Costituzione provvisoria liberale, e l’ha avuta con soli con due giorni di ritardo rispetto alla scadenza prevista, quasi un modello per quella europea che tarda ad arrivare e si annuncia meno democratica. Il 30 giugno, fra tre mesi, l’Autorità provvisoria si scioglierà, tanto che Paul Bremer ha già prenotato le vacanze (non è una battuta). Il potere, come da calendario siglato innanzi all’Onu, passerà agli iracheni, sebbene ancora non si sa a quale organismo. L’idea iniziale era quella di trasferire la sovranità a un’Assemblea eletta da caucus locali, ma ad Al Sistani l’idea non piaceva, avrebbe preferito votare subito. La decisione, di comune accordo, è stata affidata a Lakhdar Brahimi, consigliere speciale di Kofi Annan, il quale insieme al Gruppo di Amici dell’Iraq (46 paesi, compresa l’Unione Europea), ha stilato un rapporto di 33 pagine e ha suggerito di non votare subito dopo il passaggio dei poteri, perché non ci sono le condizioni tecniche per farlo. Gli iracheni hanno detto ok, compreso Sistani, e l’Autorità provvisoria ha acconsentito. Ora ci sono una dozzina di ipotesi in campo, elencarle tutte confonderebbe le idee dei zapateros, ma basti sapere che gli iracheni discutono tra di loro, decideranno loro. E’ un peccato che a nessuno sia venuto in mente di chiedere il parere del Correntone o del Ccd, ma è capitato così.
La transizione è già in corso d’opera e, come da richiesta ufficiale del Consiglio governativo iracheno di ieri, l’Onu dovrebbe coordinare il processo. "L’Onu non sta cercando un lavoro, non sta pregando per un ruolo in Iraq, ma se gli iracheni lo volessero, tutte le capacità delle Nazioni Unite sarebbero a loro disposizione", aveva detto l’altro ieri Lakhdar Brahimi rispondendo a quei giornalisti che gli facevano notare come in Iraq l’Onu non goda di buona reputazione. C’è, infatti, l’accusa di aver rubato, con la complicità di Saddam, due miliardi di dollari dal programma oil for food che avrebbe dovuto sfamare i bambini iracheni. Una notizia che in Europa è sembrata folclore, ma che in Iraq è centrale. Lunedì un imbarazzato Kofi Annan ha confermato di aver aperto un’inchiesta sul suo vice Benon Sevan, responsabile del programma e principale sospettato delle tangenti. A Baghdad il governo iracheno ha affidato alla KPMG e ad avvocati internazionali il compito di valutare l’entità della corruzione. "Scandalo alle Nazioni Unite", ha scritto ieri sul New York Times, William Safire, che ha concluso: "L’Onu può redimere la reputazione macchiata aiutando a modellare il futuro dell’Iraq. Ma per raccogliere la sfida, deve avere le mani pulite".
Comunque vada, a breve, gli iracheni faranno un accordo sulla sicurezza con la missione militare riconosciuta dall’Onu, che resterà a dispetto dei zapateros, e infine sceglieranno chi gestirà il potere nel periodo tra la fine dell’occupazione e le prime elezioni libere, già fissate "il prima possibile ma al più tardi entro il 31 gennaio 2005", come si legge, se solo qualcuno l’avesse letta, al punto 2 della Legge Amministrativa Transitoria. Cioè, tra 10 mesi, quando sarà passato un anno e mezzo dalla caduta del trentennio saddamita, gli iracheni si recheranno per la prima volta alle urne.
Certo, potrebbero sorgere, e sorgeranno, problemi grandi e piccini, ma fin qui la volontà, i risultati e la velocità di realizzazione sono stati strabilianti, tanto che lo strombazzato ordine del giorno della Lista unitaria triciclista è vecchio come il cucco. L’ordine del giorno sulle truppe italiane dice infatti di essere "preoccupato per i ritardi e gli ostacoli che hanno fin qui impedito una effettiva e piena applicazione della Risoluzione 1511 votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza" ma, come detto, non c’è stato nessun ritardo e nessun ostacolo. Il medesimo ordine del giorno "impegna il Governo ad agire in ogni sede per una piena e effettiva applicazione della Risoluzione 1511", ma non si capisce di che impegno stiano parlando visto che la Risoluzione è stata già applicata. I tricilisti chiedono al governo italiano anche di "adoperarsi perché sia riconosciuto all’Onu un ruolo centrale nella transizione", ma è un ruolo che ha già avuto, che ha già adempiuto e che gli stessi iracheni ora hanno chiesto di rinnovare in vista delle elezioni. Gli iracheni sono molto più avanti delle richieste irrinunciabili dei zapateros, tanto che sia la Casa Bianca sia le Nazioni Unite parlano di una nuova Risoluzione, visto che la stessa 1511 che alla Lista unitaria risulta "incontrare problemi" è stata realizzata interamente.
Anche Scalfari riporta questa bizzarra tesi: "Se il 30 giugno l’Onu non avrà assunto la piena e totale responsabilità, anche militare, del dopoguerra iracheno ha scritto lunedì a proposito della posizione di Zapatero i soldati spagnoli saranno ritirati". Ma di che parlano? I triciclisti e Scalfari sostengono che l’Onu non c’è (e invece c’è stato) e chiedono agli americani di lasciare il controllo del paese imponendogli, con faccia feroce, una data perentoria: 30 giugno (data decisa quattro mesi fa dagli stessi americani) al fine di insediare l’Onu a Baghdad. Invece governeranno gli iracheni. Se non si fosse capito: è stato l’Onu stesso ad avallare l’idea secondo cui dal 30 giugno saranno gli iracheni stessi ad autogovernarsi. Non avranno sentito l’opinione di Mussi né letto gli editoriali di Scalfari, ma hanno deciso così, governeranno da soli, direttamente, senza mediazioni, a partire dal 30 giugno. Un’altra cosa, importante mica da ridere: nell’ordine del giorno triclista c’è scritto che "la risoluzione 1511 indica la configurazione di una forza multinazionale di stabilità e sicurezza sotto egida ONU". Non è vero. Se lo sono inventati. La Risoluzione 1511, al punto 13, "autorizza una forza multinazionale sotto il comando unificato", cioè autorizza la forza multinazionale che c’è già, quella di cui fanno parte gli italiani e gli spagnoli che i zapateros vorrebbero richiamare se entro il 30 giugno non ci sarà quello che c’è già da cinque mesi.