Camillo di Christian RoccaKerrey, con la e, for veep

New York. Bob Kerrey, con la "e" e con un sorriso alla Tom Hanks, è la star della commissione che sta indagando sull’11 settembre e, a sorpresa, potrebbe essere il vicepresidente dell’altro Kerry, quello senza la "e". Kerrey è un ex senatore nonché ex governatore democratico del Nebraska, noto per le sue battaglie sui diritti civili in favore dell’aborto e della libertà d’opinione. Ma è conosciuto per essere il più imprevedibile, diffidente, irriverente, provocatorio e talentuoso tra i politici democratici. Come il Kerry senza la "e", Kerrey è un eroe del Vietnam, dove ha perso una gamba, ma a differenza dello sfidante di Bush i fantasmi di quella guerra non li ha spazzati via militando nel movimento pacifista, ma ammettendo di aver guidato un’operazione contro i vietcong nella quale morirono venti civili, tra cui donne e bambini, che si trovavano in mezzo alle due linee di fuoco.
Kerrey con la "e" per due anni è stato fidanzato con l’attrice Debra Winger e ha lasciato il Senato nel 2000 per diventare presidente della New School, l’università più liberal di Manhattan. I giornali lo definiscono un "maverick", un cane sciolto, come il suo ex collega repubblicano John McCain, anch’egli eroe del Vietnam, anch’egli fuori dagli schemi. Entrambi, Kerrey e McCain, sono entrati nella lista dei possibili candidati vicepresidenti di Kerry. Si parla già del ticket Kerry-Kerrey, pregustando il dibattito televisivo con Dick Cheney, nel quale il vice di Bush passerebbe per la colomba. I suoi studenti lo considerano un criminale di guerra, al pari di Henry Kissinger, perché si è battuto per la caduta del regime talebano e della dittatura di Saddam Hussein. "La vita è strana ­ ha detto Kerrey, il quale il 10 settembre del 2001 ha avuto un figlio ­ in Nebraska ero considerato un pericoloso liberal, qui a New York sono un matto di estrema destra".
Kerrey con la "e" è membro della Commissione sull’11 settembre in quota ai democratici, ma le sue domande ai testimoni non sono affatto partigiane. Anzi è più critico con l’Amministrazione Clinton che con Bush, per il semplice motivo che lo staff dell’ex presidente ha avuto otto anni di tempo per scongiurare l’11 settembre, mentre Bush soltanto sette mesi e mezzo. A Madeleine Albright ha domandato per quale motivo, "dopo essere stati attaccati e attaccati e attaccati e attaccati", l’Amministrazione Clinton abbia continuato a mandare l’Fbi sul luogo degli attentati, come se si trattasse di crimini tradizionali. Al consigliere per la Sicurezza nazionale di Clinton, Sandy Berger, ha chiesto se il 23 febbraio del 1998 l’Amministrazione si fosse accorta che Osama bin Laden, con una conferenza stampa in Afghanistan, aveva dichiarato guerra all’America. Da quel momento, sostiene Kerrey, era facile capire che prima o poi l’attacco ci sarebbe stato. E non si capacita del fatto che soltanto una volta sia stata usata la forza militare contro il regime talebano che ospitava bin Laden.
Secondo Albright e Berger, prima dell’11 settembre non c’erano le condizioni per entrare in guerra o per invadere l’Afghanistan, nonostante il terrorismo fosse "la sfida e la minaccia alla nostra generazione". Kerrey ha ricordato però che quando fu necessario intervenire nell’ex Jugoslavia, Clinton prese in mano la situazione e "convinse gli americani a fare la guerra per fermare il terrore di Milosevic in Kosovo".

Terroristi minacciati dalla democrazia araba
Kerrey non ha risparmiato critiche ai piani anti al Qaida elaborati da Bush prima dell’11 settembre, "Erano vuoti, non c’era niente dentro", ma ha contestato all’ex capo del antiterrorismo Dick Clarke la tesi secondo cui la guerra in Iraq avrebbe fatto crescere la minaccia terroristica: "Onestamente non è così, a meno che lei non creda che la minaccia sia maggiore perché al Qaida si oppone più alla libertà in Iraq che alla libertà in America. I terroristi si sentono molto più minacciati da una democrazia araba che dalla democrazia negli Stati Uniti. E nonostante io non arrivi a credere a una connessione tra al Qaida e l’Iraq, penso che la presenza di Abdul Rahman Yasin in Iraq certamente faccia sorgere qualche sospetto". Yasin è un iracheno coinvolto nel primo attacco alle Torri Gemelle, quello del 1993, ed era amico di Ramzi Yousef, un altro iracheno con un ruolo "perlomeno indiretto nel secondo attacco", ha detto Kerrey. Clarke ha risposto escludendo un diretto coinvolgimento di Saddam nell’attentato, ma Kerrey è riuscito brillantemente a spiegare in che cosa consiste davvero la dottrina Bush sul non fare distinzioni tra i terroristi e gli Stati che li ospitano: "Se a Yasin è stato dato un rifugio sicuro dentro l’Iraq, perlomeno gli iracheni non hanno fatto quanto necessario per processare uno dei responsabili della strage di americani". "Assolutamente sì ­ ha confermato Clarke ­ Gli iracheni davano rifugio sicuro anche a molti terroristi palestinesi. E lo stesso fanno iraniani e siriani".

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