New York. La dottrina Bush consiste nel promuovere la democrazia e la libertà in quella zona del mondo, il Medio Oriente, dove domina il fondamentalismo islamico che ha creato le condizioni per i ripetuti attacchi terroristici agli Stati Uniti, alle loro ambasciate, alle loro basi militari, alle loro navi, culminati l’undici settembre del 2001 nella doppia strage delle Torri gemelle e del Pentagono. Non che gli americani siano diventati buoni, santi o missionari, semplicemente credono che aprire e liberalizzare le società di quei paesi sia la soluzione migliore, nel lungo termine, per garantire la propria sicurezza. Credono, in buona sostanza, che società libere e istituzioni democratiche non abbiano alcun interesse a diffondere fondamentalismi né a dichiarare guerre, ma piuttosto siano votate a scambiarsi beni, intrecciare relazioni, fare affari.
La risposta della Casa Bianca è stata rivoluzionaria rispetto alla sua più recente politica estera sul Medio Oriente: gli Stati Uniti post 11 settembre non fanno distinzione tra terroristi e Stati che li sostengono, agiscono militarmente prima che la minaccia diventi imminente, favoriscono il cambio di regime e la diffusione dei principi liberali e democratici. I primi elementi della dottrina Bush li abbiamo già visti in opera: l’attacco militare all’Afghanistan, l’invasione dell’Iraq, la caduta di Saddam e il faticoso avvio del processo democratico.
Ma ora Bush e il suo segretario di Stato, Colin Powell, hanno messo in campo l’altro pilastro, lo strumento più raffinato e convincente per diffondere pacificamente i principi liberali: la Greater Middle East Initiative. L’idea sarà presentata al G8 dell’8-10 giugno che si terrà a Savannah, in Georgia, ma della Greater Middle East Initiative si parla già da qualche settimana, poco sui giornali europei, moltissimo su quelli arabi. Uno di questi, Al Hayat, giornale saudita che si stampa a Londra, ha ottenuto una bozza del progetto che gli americani hanno consegnato agli otto ministri degli Esteri come strumento di lavoro in vista del G8.
I tre deficit da colmare
Il documento specifica che per Greater Middle East si intendono "i paesi del mondo arabo, più Pakistan, Afghanistan, Iran, Turchia e Israele", e spiega come i tre deficit del mondo arabo individuati dagli autori (arabi) dei Rapporti Onu sulla situazione in Medio Oriente, abbiano contribuito a sviluppare le condizioni che oggi minacciano gli interessi nazionali degli Stati membri del G8. I tre deficit sono la mancanza di libertà, di conoscenza e di diritti delle donne. Se le cose continuassero così, si legge nel documento americano, avremmo un incremento di estremismi, di terrorismo, di crimini internazionali e di migrazione illegale. I dati non lasciano dubbi. Il prodotto interno lordo dei 22 Stati della Lega araba è inferiore a quello della Spagna. Il 40 per cento degli arabi adulti, circa 65 milioni di persone, è analfabeta, due terzi dei quali sono donne. 50 milioni di giovani entreranno nel mercato del lavoro entro il 2010, 100 milioni entro il decennio successivo, per assorbire i quali è necessario produrre sei milioni di posti di lavoro l’anno. Con l’attuale tasso di disoccupazione, da qui al 2010, i senza lavoro del mondo arabo saranno 25 milioni. Un terzo della regione vive con meno di due dollari al giorno e, per migliorare gli standard di vita, la crescita economica del Medio Oriente dovrebbe più che raddoppiare dal meno tre per cento di oggi ad almeno il sei per cento. Questa la situazione economica, poi c’è quella politica, sociale, quella dei diritti delle donne. Tutto ciò costituisce un terreno fertile per il fondamentalismo e una minaccia per gli interessi dei paesi industrializzati.
"L’alternativa c’è scritto sul documento americano è la strada delle riforme. I due rapporti delle Nazioni Unite rappresentano un’urgente chiamata all’azione in Medio Oriente. Lo chiedono attivisti, accademici, e imprenditori della regione. Alcuni leader hanno già prestato attenzione a queste richieste e hanno già intrapreso passi verso riforme politiche, sociali ed economiche".
L’opportunità è storica, sostengono gli americani. La liberazione dell’Afghanistan e dell’Iraq da due regimi brutali offre la possibilità di intervenire e andare incontro alle richieste di chi, da dentro lo stesso mondo arabo, chiede aiuto e riforme. Gli obiettivi dell’iniziativa, proposta dagli americani ai partner del G8, sono la promozione della democrazia e della buona amministrazione, lo sviluppo della conoscenza e il rilancio delle opportunità economiche: "Queste priorità di riforma sono le chiavi per lo sviluppo della regione: la democrazia e la buona amministrazione sono la struttura dentro la quale lo sviluppo prende corpo. Gli individui che hanno studiato sono gli agenti dello sviluppo. Infine, le imprese ne sono il motore".
Il piano americano prevede assistenza tecnica e aiuti concreti a quei paesi che da qui al 2006 hanno annunciato elezioni, attraverso scambi di parlamentari, programmi di addestramento legislativi, e con una specifica attenzione al sostegno del ruolo delle donne. E poi, ancora, aiuti legali che completino gli sforzi di numerose istituzioni internazionali che promuovono già iniziative di assistenza ai giudici e alle riforme dei codici. L’idea, in questo caso, è di partire dal basso, da dove comincia la vera percezione della giustizia. Per cui sono previsti finanziamenti a centri, collegati con le università di Giurisprudenza, dove i singoli cittadini possano ricevere assistenza legale. Un’altra iniziativa vuole sostenere i mass media indipendenti, attraverso un programma di scambi, di stage e di formazione giornalistica. I paesi del G8, secondo il progetto, dovrebbero incoraggiare e finanziare direttamente giornali indipendenti, associazioni e iniziative che promuovano la democrazia e quelle per i diritti umani e delle donne, cercando di convincere i governi della regione a farli operare liberamente nei loro paesi. Nel documento sono molto più dettagliati i progetti scolastici ed educativi, i piani di diffusione della conoscenza e della formazione, come le soluzioni per il rilancio economico attraverso prestiti, finanziamenti e mille altre attività. Colin Powell ha detto che "quello che stiamo cercando di fare è aiutare ciascuno di quei paesi, nel modo che sceglieranno. Non vogliamo imporre niente a nessuno. Potrà funzionare soltanto se le nazioni della regione scopriranno che è nei loro interessi muoversi in questa direzione".