New York. L’America sta indagando su se stessa, vuole sapere se l’11 settembre era evitabile e vuole capire che cosa abbiano fatto Clinton e Bush per fermare bin Laden, l’uomo che nel 1998 fece una conferenza stampa pubblica per dichiarare guerra all’America. Hanno fatto poco, entrambi. Gli otto anni di sforzi clintoniani contro Osama non sono serviti a smantellare il gruppo terroristico che un anno dopo attaccò New York e Washington, così come sono serviti a nulla i primi otto mesi di George Bush.
L’indagine è affidata a un Commissione formata da cinque membri democratici e cinque repubblicani. Ieri e l’altroieri i ministri di Clinton e Bush hanno testimoniato pubblicamente, in diretta tv, e hanno risposto alle domande dei commissari. I cinque repubblicani hanno sottolineato le occasioni mancate da Clinton, i cinque democratici, citando le accuse dell’ex capo dell’antiterrorismo Dick Clarke, hanno chiesto per quale motivo Bush non agì immediatamente contro al Qaida. Ma non immaginatevi schiamazzi. I testimoni, clintoniani e bushani, hanno difeso le rispettive Amministrazioni senza per questo accusare i predecessori o i successori. I clintoniani hanno spiegato di aver fatto tutto il possibile e, in particolare, Madeleine Albright ha ricordato come quando furono lanciati i missili contro i campi di Osama in Afghanistan e in Sudan si disse che Clinton avesse reagito in modo eccessivo e che lo avesse fatto per sviare l’opinione pubblica dall’attenzione sullo scandalo di Monica Lewinsky. La Albright, una falca sia contro Osama sia contro Saddam, ha spiegato come la politica antiterrorismo dell’Amministrazione Clinton fosse un mix di trattative diplomatiche, tramite i sauditi, operazioni di intelligence, azioni coperte, pressioni economiche e attacchi mirati, cioè proprio quello che gli oppositori internazionali della guerra al terrore di Bush oggi invocano quando sostengono che il terrorismo non si combatte militarmente. "Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare", ha detto la Albright. Ed è vero, ma è altrettanto vero che quella risposta politico-diplomatico-poliziesca non è servita a evitare l’11 settembre. Quando i commissari le hanno chiesto per quale motivo Clinton non avesse smantellato militarmente il regime dei talebani, Albright ha risposto che "bisogna ricordarsi di quale fosse l’approccio mentale prima dell’11 settembre". Era politicamente impossibile agire militarmente. Lo ha confermato il consigliere per la Sicurezza nazionale di Clinton, Sandy Berger, "siamo in guerra dal 1998" ma "prima dell’11 settembre un’invasione dell’Afghanistan era inconcepibile, né l’America né la comunità internazionale lo avrebbero accettato". William Cohen, segretario alla Difesa di Clinton, ha spiegato come anche l’invio di un corpo speciale per catturare Osama non sarebbe servito, visto che non è stato ancora preso nonostante le 13.500 truppe sul terreno.
Smentite al grande accusatore
La Commissione ha pubblicato un rapporto che racconta come per tre volte Clinton abbia avuto la possibilità di uccidere Osama, una nel dicembre del 1998 a Kandahar, ma fu deciso di non colpire, un’altra nel febbraio del 1999, sempre in Afghanistan, ma per paura di ammazzare un principe saudita l’attacco non partì, infine nel maggio del 1999, ancora a Kandahar, ma anche questa volta Clinton scelse di non agire perché avrebbe potuto causare vittime innocenti. Nell’estate del 2001 a Bush arrivò un rapporto su "un’azione spettacolare di al Qaida", ma la Cia pensava a un attentato su obiettivi americani all’estero o a un dirottamento aereo per liberare prigionieri.
L’ultimo a essere ascoltato è stato Dick Clarke, il superfalco ex capo dell’antiterrorismo sia con Clinton sia con Bush, oggi grande accusatore di Bush nonostante nella lettera di dimissioni del 30 gennaio 2003 scrisse che era stato "un enorme privilegio lavorare" con Bush e che "non avrebbe mai dimenticato il coraggio, la determinazione, la calma e la leadership dimostrata l’11 settembre". Clarke ha pubblicato un libro con il quale accusa (solo) Bush di aver sottovalutato al Qaida prima dell’11 settembre e di essersi concentrato su Saddam subito dopo. Il Washington Post ha smontato la seconda accusa, "suona falsa", e ha spiegato come Bush abbia posto le domande giuste e si sia comportato correttamente, invadendo l’Afghanistan e prendendo di mira l’Iraq un anno dopo. Quanto all’aver ignorato gli avvertimenti su Osama, Clarke è stato smentito da una sua stessa intervista dell’agosto del 2002, trasmessa ieri su Fox News. "Clinton non ha passato nessun piano contro al Qaida a Bush", disse Clarke ai giornalisti della Casa Bianca. L’Amministrazione prese il dossier al Qaida pochi giorni dopo l’insediamento, "nella prima settimana di febbraio", e "in primavera" decise di "cambiare strategia", "quintuplicare i fondi" per "arrivare alla rapida eliminazione di al Qaida". Il piano fu pronto "il 4 settembre", e arrivò sulla scrivania di Bush "il 10 settembre 2001".