Se le satire devono far ridere ma anche far riflettere, Embedded, la pièce teatrale del premio Oscar Tim Robbins sulle bugie della guerra in Iraq, giovedì sera al Public Theater di New York ha perfettamente centrato l’obiettivo. Colti dai pensieri che lo spettacolo suggeriva, due spettatori che riflettevano già da un bel pezzo, in momenti diversi hanno iniziato a russare con grande trasporto. A quel punto sono arrivate le risate più fragorose dell’intero spettacolo che quando è terminato, per venti secondi, non ha ricevuto nemmeno un applauso, poi arrivato timido timido appena sono state riaccese le luci e gli attori sono tornati in scena.
Se invece che raccontare lo spettacolo la recensione si sofferma sulla reazione del pubblico un motivo c’è: trovare in Embedded una buona battuta è operazione più difficile che scovare le armi di distruzione di massa di Saddam. E’ stato più facile scorgere gli spettatori che andavano via annoiati prima della fine. La critica è stata unanime, per New York Times, Wall Street Journal, Daily News, New York Post, Time Out e New Republic, Embedded è uno spettacolo noioso, non divertente, falso, scritto male, scontato ed esagerato persino per chi odia Bush.
Racconta come la guerra in Iraq non sia stata fatta per il petrolio, né per ripetere le gesta di papà Bush, né per l’Halliburton, né per ogni altro motivo che vi venga in mente, meno che mai per i tre dichiarati, cioè per le armi di distruzione di massa, i legami con al Qaida e il regime change. La guerra secondo Tim Robbins, il quale si è ispirato agli articoli di Robert Fisk, un giornalista che in Italia solo l’Unità ha il coraggio di pubblicare, è stata dichiarata per colpa del filosofo della politica Leo Strauss, il cui pensiero Robbins stravolge fino a farlo diventare il nume di una lobby fascista, i neocon, che lo evoca con il saluto nazista "Hail Strauss" e il braccio destro alzato. No blood for Strauss, insomma. Robbins non ha idea di chi sia Strauss, uno che è sfuggito ai nazisti prima di diventare professore a Chicago. Non ne ha idea al punto che basa la sua pièce su frasi che, secondo il Wall Street Journal, il filosofo non ha mai pronunciato, ma che gli sarebbero state attribuite di terza mano da un giornale di Lyndon LaRouche, un miliardario pazzarello che vede complotti ebraici ovunque. I membri della giunta che ha ingannato il paese per rieleggere Bush sono Dick (Richard Cheney), Pearly White (Richard Perle), Woof (Paul Wolfowitz), Gondola (Condoleezza Rice), Rum Rum (Donald Rumsfeld), Cove (Karl Rove). Bush non c’è, è troppo stupido per partecipare alle decisioni, sta a casa e fa le bizze perché Gondola non gli ha portato la corona regale che gli aveva promesso. (Questa è una delle battute più belle dello spettacolo). Il gruppo inventa notizie e manipola l’opinione pubblica al solo scopo di applicare le idee di Strauss e mantenere il potere con la menzogna. La data della guerra è scelta consultando gli impegni personali dei sei, i quali mettono in agenda altre guerre in Giudea e Persia, ma non nel Golan del Sud perché lì Perle ha una casa di villeggiatura. Nel momento peggiore dello show, Cheney, Rice e gli altri cantano le lodi del terrorismo: sia lodato il terrore, onore al terrore, grazie terrore.
Hail Robbins
Nella mente di Robbins, l’Iraq era un posto mica male prima dell’invasione, gli iracheni soffrono di più adesso e i soldati americani sono la carne da macello dei politici di Washington. Poi c’è la categoria dei giornalisti embedded, quelli che sono stati "arruolati" per seguire da vicino le operazioni militari. La prima guerra del Golfo fu criticata perché ai mass media non fu permesso di stare al fronte. Questa volta, invece, il Pentagono ha acconsentito. Ma non va bene, perché secondo Robbins i giornalisti erano controllati dai militari, non erano liberi, venivano censurati, non potevano scrivere quello che vedevano. Ed erano pure contenti del bavaglio, erano i volenterosi carnefici della verità, le truppe cammellate dei neocon. Eppure nei primi giorni sono solo usciti articoli che raccontavano e prevedevano il disastro Usa nel deserto. Robbins, all’Espresso, ha detto che in quel periodo non ha letto i giornali. Hail Robbins.