Camillo di Christian RoccaOscar a Sean Penn, pensate a Madonna

Pensate a Madonna, l’altra sera. Poveraccia. Lei, la star delle star, multimediale e multisessuale, che però col cinema ha sempre fatto cilecca. Immaginatela seduta sul divano di casa, magari con una confezione di popcorn burrosi in mano. Che cosa avrà pensato, Lady Madonna, quando l’Academy ha premiato come miglior attore protagonista mister Sean Penn, l’uomo che lei definiva "il poeta cowboy", con cui ha girato il terrificante "Shangai Surprise" e, soprattutto, con cui si è vicendevolmente sposata e picchiata e poi lasciata e pestata? Avrà lanciato urla e popcorn contro la tv oppure si sarà fatta travolgere dal destino di aver perduto un grande attore come compagno? Chissà.
Certo è che Sean Penn, quasi quarantaquattrenne, è davvero un grande attore, il migliore dice Marlon Brando, il migliore di quest’anno si sono limitati a dire i giudici dell’Oscar. Lui, ribelle e agitato ma anche modesto e timido, dice che non è mica da questi particolari che si giudica un attore, un attore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia, come diceva De Gregori. Per giudicarlo davvero, sostiene Penn, si dovrebbe dare anche ad altri attori la possibilità di interpretare lo stesso ruolo. Solo allora, soltanto dopo aver fatto un paragone, si può scegliere con cognizione di causa il più bravo.
Guardate la faccia corrucciata e arrabbiata da wild boy che si ritrova Sean Penn. Con quel ghigno timido fa secche le ragazze, ma frega anche i masculi perché non riescono a capire in tempo se vuole piangere sulle loro spalle oppure mollare uno sganascione. Spesso glielo dà, lo sganascione. Non solo nei film, anche nel mondo reale: "Odio i giornalisti ­ ha detto SP ­ O, meglio. Odio i paparazzi. Sì, li ho presi a pugni e lo rifarei di nuovo se necessario. Credo che un pugno in faccia sia l’unico modo per proteggere la mia vita privata. Pretendo la libertà, e devo averla". A furia di tirar pugni e spaccare locali, nel 1987 la libertà gli è stata tolta davvero, con una sentenza di condanna a 32 giorni di galera per aver pestato un fotografo che voleva ritrarlo sul set di Colors, il film di Dennis Hopper.
Sean Penn è fatto così, la parte dell’antipatico gli viene facile, non è uno del giro, non è amato dai colleghi, non partecipa alle premiazioni, dà fastidio ai produttori di Hollywood, tanto che si diceva che non gli avrebbero dato l’Oscar per timore che trasformasse la cerimonia in un’infuocata assemblea politica. La statuetta invece gli è stata assegnata, SP si è presentato ed era il più imbarazzato e impacciato, ma si è comportato a modino.
Sean Penn ha quasi sempre interpretato uomini complicati e struggenti in film crepuscolari che piacevano tanto alla critica ma che non vedeva nessuno. Eppure era lui quello che ammetteva di stare nello showbusiness soltanto per "bisogno di soldi". Ora, evidentemente, i soldi li ha fatti, visto che ripete spesso di volersi ritirare. In realtà non è mai stato così attivo da quando ha lasciato Hollywood per andare a vivere con sua moglie, l’attrice Robin Penn Wright, a San Francisco, davanti all’Oceano, vicino al suo amico Clint Eastwood, il regista di Mystic River, il film con cui ha vinto la statuetta e il Golden Globe. Nei cinema ci sono "Mystic River" e "21 grammi", ma Penn ha già finito di girare "L’assassinio di Richard Nixon" e iniziato le riprese di "The Interpreter", un thriller con Nicole Kidman, diretto da Sidney Pollack e girato alle Nazioni Unite, il cui palazzo newyorchese è stato aperto per la prima volta alla realizzazione di un film.
Sean Penn, oltre a partecipare a imprese cinematografiche sempre più indipendenti e ricercate, da un po’ di tempo si occupa rumorosamente di politica. Non partecipa alle elezioni, ma dice la sua con la stessa prepotenza di quando prendeva a pugni gli scocciatori e litigava con Madonna. SP è stato uno dei più tosti oppositori all’invasione dell’Iraq decisa da George Bush e dal Congresso americano. Prima della guerra è partito per l’Iraq, tornato a casa ha scoperto di essere stato accusato di tifare per il nemico. Così ha comprato due intere pagine, una sul New York Times e l’altra sul Washington Post, per raccontare i suoi pensierini, le sue emozioni, le sue paure per una guerra che sembra infinita. Poi è tornato in Iraq a novembre scorso, una volta che Baghdad è stata liberata dal feroce dittatore. Il secondo viaggio gli ha fatto cambiare un po’ idea, e lo ha scritto in un lunghissimo diario di viaggio pubblicato sul San Francisco Chronicle, il giornale diretto da Phil Bronstein, l’ex marito di Sharon Stone: "La novità sta in questo minuscolo seme di libertà che è stato gettato. E’ un’esperienza illuminante essere stati a Baghdad soltanto un anno fa, quando neanche un solo iracheno mi aveva detto qualcosa che non corrispondesse alle linee del partito di Saddam, e ritornarci ora e vedere così tanta gente che esprime apertamente la propria opinione e la discute con chi la pensa diversamente". Penn non è né di destra né di sinistra, "non sono democratico, non sono repubblicano, non sono verde, non sto con nessun partito". Eppure è diventato, insieme con gli altri premi Oscar Tim Robbins (migliore attore non protagonista) e Michael Moore (miglior documentario dell’anno scorso), una delle icone hollywoodiane contro il presidente Bush. Non gli va giù nemmeno questo genere di popolarità, magari è per questo che agli Oscar non ha fatto comizi. Del resto la sua filosofia di vita, ma anche la chiave del suo successo, sta tutta in questa frase: "Se piaci a troppe persone, vuol dire che stai facendo qualcosa di sbagliato". Chissà se Madonna ha preso nota.