Camillo di Christian RoccaPubblichiamo ampi stralci del discorso che il premier inglese Tony Blair ha pronunciato venerdì 5 marzo nella sua circoscrizione elettorale di Sedgefield.

Di tutte le decisioni che ho dovuto prendere in politica nessuna è stata così lacerante e divisiva come quella di entrare in guerra contro l’Iraq. E lo resta ancora oggi [] Questo non semplicemente per la gravità della guerra, o per il prolungato impegno delle truppe britanniche in Iraq; né tantomeno per i dubbi che sono stati sollevati sull’integrità del primo ministro. Bensì perché era mia convinzione assoluta nel marzo 2003, come lo è ancora adesso, che la minaccia globale che incombe sull’Inghilterra e su tutto il mondo è concreta e reale, ed è compito dei leader di ogni nazione smascherarla e combatterla, quale che sia il costo politico. Il vero pericolo non riguarda la reputazione del singolo politico ma la sicurezza del nostro stesso paese, se adesso ignoriamo questa minaccia o la cancelliamo dalla nostra agenda imbarazzati per le difficoltà che ci causa. [] Il punto sostanziale è che chi non è d’accordo con la guerra non è nemmeno d’accordo con le motivazioni che hanno portato alla guerra. Per di più, le ragioni di queste persone sono altrettanto ragionevoli e sostenibili. Il Kosovo, con la pulizia etnica degli albanesi, per quasi tutti non ha rappresentato una decisione difficile, come non l’ha rappresentata l’Afghanistan dopo il terribile attentato dell’11 settembre o la Sierra Leone.

Nel marzo del 2003 era difficilissimo esprimere un giudizio sull’Iraq. La grande diversità di opinioni si spiega proprio con questa estrema difficoltà. Non ho mai disprezzato chi non è stato d’accordo con la mia decisione. Senza dubbio, alcuni erano semplicemente antiamericani e altri radicalmente opposti a ogni genere di guerra. Ma c’era un concreto nucleo di persone sensibili che, se fossero state nei miei panni, avrebbero preso una decisione diversa, e per sostanziali ragioni. Comprendo perfettamente la loro argomentazione, che è la seguente: primo, l’Iraq non costituiva una minaccia diretta e immediata per l’Inghilterra; secondo, le armi di distruzione di massa irachene non rappresentavano, per nostra stessa ammissione, un pericolo tale da giustificare un guerra, certamente non senza una specifica risoluzione dell’Onu che autorizzasse l’intervento militare. Inoltre, sostengono che, in ogni caso, Saddam poteva essere tenuto a bada con il metodo del contenimento. In altre parole, allora come oggi, non erano e non sono d’accordo sulla natura della minaccia. Non diciamo che si tratta di una minaccia immediata e che bisogna agire; chi invece si oppone alla guerra sostiene che non sia così. E, detto per inciso, ribadisco che, per quanto brutale e corrotto fosse il dominio di Saddam, il cambio di regime non poteva essere e non è stata la nostra sola giustificazione per la guerra. Il nostro scopo principale era far rispettare le risoluzioni dell’Onu sull’Iraq e le armi di distruzione di massa. Naturalmente i nostri avversari sono incoraggiati dal fatto che, sebbene sapessimo che Saddam era in possesso di armi di distruzione di massa, undici mesi dopo la fine della guerra, non ne abbiamo ancora trovata traccia. Ma, di fatto, tutti erano convinti che le avesse. E’ stata questa la ragione fondamentale per la risoluzione 1441 dell’Onu. []

La risposta a un’aggressione
Voglio provare a spiegare in che modo si è sviluppato il mio pensiero nel corso di questi anni di leadership politica. Innanzitutto, già prima dell’11 settembre, l’opinione mondiale sulla giustificazione di un intervento militare aveva cominciato a mutare. L’unica evidente giustificazione, nelle relazioni internazionali, per un intervento armato era l’autodifesa, la risposta a un’aggressione. Ma stava anche affermandosi l’idea di un intervento per ragioni umanitarie. Lo sostenni io stesso, dopo la guerra del Kosovo, in un discorso pronunciato a Chicago nel 1999, in cui invocai la formulazione, da parte della comunità internazionale, di una precisa dottrina che ci consentisse, in certe ben specifiche circostanze, di intervenire anche se non direttamente minacciati. Questo non serviva soltanto allo scopo di riparare alle ingiustizie, ma si rendeva necessario perché, in un mondo sempre più interdipendente, i nostri interessi erano strettamente connessi a quelli degli altri, ed era un caso davvero raro che un conflitto scoppiato in una zona del mondo non si estendesse subito a un’altra.

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