Milano. I giornali americani si domandano quanto l’intrigo costituzionale e politico intorno alla testimonianza di Condoleezza Rice davanti alla Commissione sull’11 settembre abbia indebolito George W. Bush. Il New York Times, mai tenero con il presidente, è certo che sia uscito malconcio. Ne sono convinti anche a New Republic, un settimanale liberal senza pregiudizi, che considera "completamente sbagliata" l’analisi di Mary Matalin, la stratega elettorale di Bush, secondo la quale con la decisione finale di far testimoniare Condi Rice la partita si sia chiusa "in parità". Il punto è che George W. Bush e i suoi consiglieri non hanno gestito al meglio, tutt’altro, il rapporto con la Commissione che si propone di capire come sia stato possibile l’attacco dell’11 settembre. In teoria l’indagine avrebbe dovuto essere una grande opportunità per i repubblicani, tornati alla Casa Bianca dopo otto anni di Amministrazione democratica, e soltanto sette mesi e mezzo prima dell’11 settembre 2001. Per quanto i bushani non abbiano affrontato al Qaida come una priorità, certamente pesano di più gli otto anni in cui il master and commander era Bill Clinton. Gli attacchi all’America c’erano già stati, ripetuti, ma né al Qaida né il regime talebano sono mai stati affrontati con la necessaria risolutezza, come richiesto da Richard Clarke, ex capo dell’antiterrorismo e oggi grande accusatore di Bush. Non che Bill Clinton volesse farla passare liscia a Osama, tutt’altro. Ma come ha spiegato Madeleine Albright, l’America non era pronta a una guerra contro il regime talebano. Quel tanto o poco che è stato fatto fu infatti considerato come una distrazione creata ad arte per sviare l’attenzione dal caso Lewinsky. Barry Levinson, David Mamet, Robert De Niro e Dustin Hoffman ci fecero un film, Wag the dog (Sesso e potere).
Eppure anziché sostenere con entusiasmo i lavori della Commissione, anziché cavalcarli per consolidare l’impressione che i Democratici siano stati deboli sulle questioni di sicurezza, il team Bush l’ha prima snobbata e poi ne ha preso le distanze, giudicandola inutile e potenzialmente dannosa per la sicurezza del paese. Condi Rice è stata ascoltata per quattro ore e mezzo dai dieci commissari, ma non in udienza pubblica, al contrario dei funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono sia clintoniani sia bushani. La Casa Bianca aveva posto il veto, appellandosi al privilegio costituzionale di mantenere riservate alcune informazioni importanti per la sicurezza nazionale. Le polemiche e le critiche hanno fatto cambiare idea alla Casa Bianca, che ha chiuso un accordo scritto con la Commissione: Rice testimonierà ma i commissari si impegnano a non richiedere la testimonianza di nessun altro funzionario della Casa Bianca. Il riferimento è al presidente e al vicepresidente, a Bush e Cheney, i quali si limiteranno a rispondere privatamente.
L’ingarbugliato puzzle, scrivono i grandi quotidiani, ha messo in difficoltà la Casa Bianca, costretta a cambiare idea di fronte al sospetto che avesse qualcosa da nascondere. Le accuse contenute nel libro di Clarke hanno fatto il resto, al punto che Bush sembra abbia perso terreno finanche dove era in vantaggio, nella politica di sicurezza. Qualcuno ha cominciato a rimpiangere Karen Hughes, la consigliera texana di Bush che l’anno scorso ha lasciato la Casa Bianca per motivi familiari. Si è spesso vociferato di contrasti tra lei e Karl Rove, ma Hughes ha smentito e annunciato che tornerà a occuparsi della campagna per la rielezione. John Podhoretz, biografo di Bush, sostiene che il cambio di strategia sulla Commissione non sia stato dettato dal panico, ma dalla fiducia. Gli elettori, secondo Podhoretz, non hanno mai prestato attenzione alle inchieste parlamentari, mentre aver spostato il dibattito elettorale sulla sicurezza e sul terrorismo favorisce Bush. I sondaggi, nonostante la settimana di critiche furibonde, sono infatti tornati ampiamente favorevoli al presidente (e alla Rice), frutto dell’inizio della campagna televisiva. Spot tv a parte, gli elettori sanno che prima dell’11 settembre nessuno, né i democratici né Bush, ha davvero combattuto la guerra al terrorismo. Non dubitano, però, che Bush la stia combattendo adesso.
Gli errori dell’Amministrazione Bush (e i sondaggi che premiano l’Amministrazione Bush)
IL FOGLIO, 1 aprile 2004
Milano. I giornali americani si domandano quanto l’intrigo costituzionale e politico intorno alla testimonianza di Condoleezza Rice davanti alla Commissione sull’11 settembre abbia indebolito George W. Bush. Il New York Times, mai tenero con il presidente, è certo che sia uscito malconcio. Ne sono convinti anche a New Republic, un settimanale liberal senza pregiudizi, che considera "completamente sbagliata" l’analisi di Mary Matalin, la stratega elettorale di Bush, secondo la quale con la decisione finale di far testimoniare Condi Rice la partita si sia chiusa "in parità". Il punto è che George W. Bush e i suoi consiglieri non hanno gestito al meglio, tutt’altro, il rapporto con la Commissione che si propone di capire come sia stato possibile l’attacco dell’11 settembre. In teoria l’indagine avrebbe dovuto essere una grande opportunità per i repubblicani, tornati alla Casa Bianca dopo otto anni di Amministrazione democratica, e soltanto sette mesi e mezzo prima dell’11 settembre 2001. Per quanto i bushani non abbiano affrontato al Qaida come una priorità, certamente pesano di più gli otto anni in cui il master and commander era Bill Clinton. Gli attacchi all’America c’erano già stati, ripetuti, ma né al Qaida né il regime talebano sono mai stati affrontati con la necessaria risolutezza, come richiesto da Richard Clarke, ex capo dell’antiterrorismo e oggi grande accusatore di Bush. Non che Bill Clinton volesse farla passare liscia a Osama, tutt’altro. Ma come ha spiegato Madeleine Albright, l’America non era pronta a una guerra contro il regime talebano. Quel tanto o poco che è stato fatto fu infatti considerato come una distrazione creata ad arte per sviare l’attenzione dal caso Lewinsky. Barry Levinson, David Mamet, Robert De Niro e Dustin Hoffman ci fecero un film, Wag the dog (Sesso e potere).
Eppure anziché sostenere con entusiasmo i lavori della Commissione, anziché cavalcarli per consolidare l’impressione che i Democratici siano stati deboli sulle questioni di sicurezza, il team Bush l’ha prima snobbata e poi ne ha preso le distanze, giudicandola inutile e potenzialmente dannosa per la sicurezza del paese. Condi Rice è stata ascoltata per quattro ore e mezzo dai dieci commissari, ma non in udienza pubblica, al contrario dei funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono sia clintoniani sia bushani. La Casa Bianca aveva posto il veto, appellandosi al privilegio costituzionale di mantenere riservate alcune informazioni importanti per la sicurezza nazionale. Le polemiche e le critiche hanno fatto cambiare idea alla Casa Bianca, che ha chiuso un accordo scritto con la Commissione: Rice testimonierà ma i commissari si impegnano a non richiedere la testimonianza di nessun altro funzionario della Casa Bianca. Il riferimento è al presidente e al vicepresidente, a Bush e Cheney, i quali si limiteranno a rispondere privatamente.
L’ingarbugliato puzzle, scrivono i grandi quotidiani, ha messo in difficoltà la Casa Bianca, costretta a cambiare idea di fronte al sospetto che avesse qualcosa da nascondere. Le accuse contenute nel libro di Clarke hanno fatto il resto, al punto che Bush sembra abbia perso terreno finanche dove era in vantaggio, nella politica di sicurezza. Qualcuno ha cominciato a rimpiangere Karen Hughes, la consigliera texana di Bush che l’anno scorso ha lasciato la Casa Bianca per motivi familiari. Si è spesso vociferato di contrasti tra lei e Karl Rove, ma Hughes ha smentito e annunciato che tornerà a occuparsi della campagna per la rielezione. John Podhoretz, biografo di Bush, sostiene che il cambio di strategia sulla Commissione non sia stato dettato dal panico, ma dalla fiducia. Gli elettori, secondo Podhoretz, non hanno mai prestato attenzione alle inchieste parlamentari, mentre aver spostato il dibattito elettorale sulla sicurezza e sul terrorismo favorisce Bush. I sondaggi, nonostante la settimana di critiche furibonde, sono infatti tornati ampiamente favorevoli al presidente (e alla Rice), frutto dell’inizio della campagna televisiva. Spot tv a parte, gli elettori sanno che prima dell’11 settembre nessuno, né i democratici né Bush, ha davvero combattuto la guerra al terrorismo. Non dubitano, però, che Bush la stia combattendo adesso.