Il regime di Saddam Hussein è caduto il 9 aprile 2003. Dopo otto mesi, il 14 dicembre, il dittatore è stato catturato in una buca fetida di Tikrit. In questo lungo periodo Il Foglio ha dedicato centinaia tra articoli, editoriali, ricostruzioni storiche, analisi, documenti sul dopoguerra iracheno e su tutto quanto è girato intorno all’intervento angloamericano in Medio Oriente. Con gli articoli dagli Stati Uniti, i reportage dalle varie zone dell’Iraq, le analisi dalla retrovia iraniana, dal fronte israeliano e dagli altri paesi arabi abbiamo riempito pagine e inserti di giornale. Un anno dopo le abbiamo rilette per capire, alla luce di quanto sta accadendo oggi in Iraq e nel Medio Oriente, se le nostre previsioni e le nostre analisi fossero giuste, sballate oppure caute e ragionevoli.
Il giorno successivo alla liberazione, il 10 di aprile, il Foglio si apriva con un racconto della "Baghdad liberata" ma già con il secondo articolo della prima pagina si dava conto di una preoccupazione. Il titolo era: "Kagan multilateralista". Kagan è Robert Kagan, uno dei neoconservatori la cui traiettoria intellettuale questo giornale ha seguito fin dalla pubblicazione integrale, nell’estate del 2002, del suo saggio sui rapporti transatlantici. Ospitando le tesi di uno dei teorici della guerra in Iraq, il Foglio ha avvertito fin dal primo giorno che non era affatto finita: "Kagan scrive che per la Casa Bianca questo è il momento di mostrare un po’ di utile magnanimità con gli europei che non ci credevano. ‘Gli Stati Uniti non dovrebbero tentare di dividere l’Europa; questo lasciamolo fare alla Francia’. Meglio ‘abbracciare l’Europa’, persuadendola, con ancora più forza di prima".
Il Foglio ha sempre guardato con favore ad Ahmed Chalabi, il leader iracheno in esilio che più di ogni altro s’è battuto per far fuori il dittatore, al punto che Bill Clinton decise di finanziare la sua organizzazione. Eppure non ha mancato di segnalare, già dal giorno successivo alla liberazione e sempre in prima pagina, "i dubbi di Kagan su Ahmed Chalabi, leader dell’Iraqi National Congress, come guida irachena della transizione. Perché Chalabi, ottima persona, sarebbe accolto come un capo imposto dall’esterno, e se la guerra fosse interpretata come un’azione decisa per mettere Chalabi a Baghdad, il successo di Bush sarebbe un po’ screditato".
Per la verità un articolo sbruffone, su quel numero post liberazione, Il Foglio lo ha pubblicato. E’ una invettiva con il solito e irresistibile stile irriverente di Mark Steyn, scritto per lo Spectator di Londra quattro giorni prima dell’ingresso americano a Baghdad. Questo il titolo: "Due sono le cose di cui Baghdad non ha bisogno: le Nazioni Unite e i francesi". Ma, in generale, non abbiamo mai scritto che con la caduta di Baghdad il caso Iraq fosse chiuso. Tutt’altro. Se fino a qualche giorno prima delle ostilità avevamo scritto di "impegno generazionale", due giorno dopo la liberazione, l’11 aprile, in un giro di opinioni affidate a sei editorialisti prevaleva la considerazione che gli americani sarebbero dovuti rimanere a lungo in Iraq. Nello stesso giorno, in prima pagina, è stato fatto un raffronto con i sei anni e gli otto mesi che sono stati necessari per la ricostruzione del Giappone del 1945.
Scorrendo le pagine del Foglio si percepisce comunque un cauto ottimismo sul dopoguerra iracheno ma anche una certa diffidenza sull’impegno militare "leggero" del Pentagono e un’ingiustificata, visto cosa è accaduto successivamente, baldanza anti francese. Il Foglio si aspettava che in seguito alla clamorosa caduta del regime, Jacques Chirac si sarebbe piegato a collaborare alla ricostruzione. Il Foglio se lo aspettava ancora di più da Gerhard Schroeder, anzi un paio di volte abbiamo titolato e dato per fatto un cambio di campo del cancelliere tedesco. Nei giorni successivi alla caduta di Baghdad, pur non pretendendo ovviamente nessuna abiura, il Foglio ha chiesto a destra e a sinistra, ai direttori dei grandi giornali italiani così come al presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, di riconoscere che le loro previsioni si erano rivelate sbagliate.
Un’altra cosa che ci aspettavamo era una spinta forte che la caduta di Baghdad avrebbe dato alla Road Map, documento che il 30 aprile abbiamo pubblicato integralmente prima ancora di ogni altro giornale internazionale. Per effetto della caduta di Saddam abbiamo creduto che i palestinesi fossero costretti a trovare un accordo con gli israeliani. E, in effetti, un tentativo c’è stato, visto che Arafat è stato costretto a nominare, a marzo, Abu Mazen. Per questo il nome di Abu Mazen, insieme alle minacce di Hamas, è il più ricorrente sui titoli di questi mesi del Foglio.
Il giornale ha concentrato molte energie nel raccontare il dibattito intellettuale e militare americano, con le divisioni strategiche tra i sostenitori della guerra leggera e tecnologica e chi, come Frederick Kagan, invece avvertiva del pericolo che si sarebbe corso. Con articoli tradotti da Economist, Commentary, Weekly Standard, New Republic e una copiosa dose di produzione interna è stato dedicato ampio spazio alle tesi dei neoconservatori, i quali fin dalla liberazione di Baghdad hanno invocato più truppe e poi denunciato la scarsa volontà di Donald Rumsfeld di impegnarsi nella ricostruzione del paese. C’è poi il dibattito tra i falchi liberal americani e inglesi e francesi. Si tratta di quella parte di intellettuali di sinistra favorevoli all’intervento contro il dittatore genocida. I nomi di Christopher Hitchens e Thomas Friedman, e gli articoli di The New Statement, di Dissent e di The New Republic sono diventati un appuntamento fisso su queste colonne. Uno dei protagonisti è stato Paul Berman, più volte intervistato e definito "il Kagan della sinistra". Un anno e mezzo dopo in Italia è stato tradotto il suo libro. Lo stesso dicasi per André Glucksmann, il cui saggio fresco di stampa "Occidente contro Occidente" è stato anticipato con un lungo estratto sul numero commemorativo dell’11 settembre 2003. In quello stesso numero c’era anche un virulento saggio di Lewis H. Lapham, direttore della rivista radicale Harper’s, spietato ed elegante allo stesso tempo contro le tesi dell’Amministrazione Bush. Due pagine del Foglio sono state dedicate al saggio del premio Nobel e guru della sinistra Amartya Sen, recentemente diventato, come le riflessioni di Kagan, un volume per Mondadori. Il pensiero del liberal conservatore Fareed Zakaria, direttore di Newsweek, prima di essere stampato da Rizzoli è stato ampiamente approfondito sul Foglio. Una particolare attenzione è stata dedicata allo scisma islamico, al ruolo del clero sciita e al rapporto con l’Iran e con il wahabismo saudita. Il nome del Grande Ayatollah al Sistani compare con evidenza già il 12 aprile, come l’uomo chiave dell’Iraq. Il 15 aprile iniziano gli articoli sul ribelle sciita al Sadr e le sue milizie armate. In generale, dal giorno della liberazione, è stato dato pochissimo peso al tema delle armi di distruzione di massa, perché in realtà "l’arma di distruzione di massa è la dittatura" o, come ha detto l’inviato dell’Onu Vieira de Mello ucciso dai terroristi, sono "le fosse comuni" del regime saddamita. A proposito dell’Onu, il Foglio è sempre stato scettico sull’efficacia delle Nazioni Unite, e spesso ha usato toni denigratori. A partire dal 16 aprile è stata pubblicata un’inchiesta in 7 puntate di Mauro Suttora che ha anticipato il recente scandalo delle tangenti petrolifere spartite tra il regime e alcuni funzionari Onu sulle spalle del popolo iracheno. Abbiamo dato molto spazio al caso del deputato laburista inglese George Galloway, pacifista provetto ma accusato dalle carte ritrovate a Baghdad di essere a libro paga di Saddam (lui ha negato).
Il Foglio ha pubblicato i documenti ufficiali dell’Autorità di Paul Bremer che segnalavano la ripresa e il miglioramento delle condizioni di vita degli iracheni, confermate dai sondaggi, dalle manifestazioni anti terrorismo in Iraq (che molti giornali hanno bucato) e da quei giovani, Zeyad e Alì in testa, che alla caduta di Saddam hanno aperto siti Internet per raccontare il sapore della libertà. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, infine, il Foglio ha cominciato una prima riflessione sul dopoguerra iracheno, con una serie di editoriali, un paio di articoli e un’intervista al professor Franco Zerlenga rubricati sotto i titoli: "Forse gli americani non sono abbastanza nasty" e "Come essere più cattivi".
Un nuovo pensiero rivoluzionario
"Comunque la si pensi e in qualunque posizione ci si riconosca, è evidente che la liberazione dell’Iraq non è un episodio neocoloniale né un incidente o un qualsiasi sviluppo nella lotta al terrorismo. E’ di più: è l’affermazione di un nuovo pensiero rivoluzionario, che vuole cambiare equilibri consolidati nel mondo in nome di un disegno di stabilità, di pace e di affermazione del valore universale della democrazia. E’ chiaro che i conservatori sono progressisti, e i progressisti conservatori". (editoriale, 11 aprile)
Per evitare
"Per evitare che l’Iraq diventi un immenso ‘territorio occupato’ in cui esploda il terrorismo, serve un rafforzamento della coalizione moderata, che assuma la responsabilità di garantire, eventualmente anche con forze armate proprie, sia la stabilizzazione in Iraq sia la coesistenza fra Israele e una nuova autorità palestinese aiutata a liberarsi dal terrorismo". (11 aprile)
Le truppe e l’occupazione
"Dovranno restare a lungo. Avete presente il Giappone e la Germania del secondo Dopoguerra? Nel Kurdistan iracheno ci vollero sei mesi per avviare la democratizzazione, in Iraq sei mesi non basteranno".
(11 aprile 2003)
Apologia
"Apologia del saccheggio"
(titolo di editoriale, 12 aprile)
Viva
W l’anarchia (vignetta di Vincino, 12 aprile)
Sistani
"Il grande ayatollah Alì al Sistani, detentore della potestà della marja’, la fedeltà obbligatoria degli sciiti alle sue fatwa, da anni agli arresti domiciliari. La divergenza che contrappone al Sistani e al Khoei allo Sciri e agli ayatollah iraniani è di primaria importanza: i primi rifiutano il modello di Repubblica islamica dominata dall’assoluto potere decisionale sulla gestione dello Stato e del governo, esercitato teocraticamente in Iran prima dall’ayatollah Khomeini e oggi dall’ayatollah Khamenei".(12 aprile)
La dottrina Bush c’è, e l’altra?
"Si attende una dottrina alternativa a quella firmata da Bush. Che è semplice. Visto che i terroristi islamici ci hanno portato la guerra in casa, ed è una guerra asimmetrica, noi ripristiniamo la simmetria andandoli a prendere dove sono custoditi, protetti, incoraggiati e dove potrebbero essere armati, in un prevedibile futuro, di mezzi di distruzione di massa. E lo facciamo preventivamente, cioè senza aspettare nuovi colpi da parte loro. E lo facciamo con chi ci sta, cioè senza accendere ceri al vecchio multilateralismo delle burocrazie e del cosiddetto diritto internazionale: se il diritto perde forza, gliela restituiamo noi questa forza, esportando con il diritto anche la democrazia o la modernizzazione di una civilizzazione politico-religiosa che non è poi così amata dai popoli che la subiscono". (editoriale, 14 aprile)
Prende atto (o no?)
"La diplomazia francese prende atto che la caduta del tiranno di Baghdad apre una nuova fase in Medio Oriente". (15 aprile)
Ripensandoci (o no?)
"Passettino dopo passettino Schroeder trasloca al centro delle alleanze da restaurare". (titolo, 15 aprile)
Foggy Bottom
"Hezbollah tenta d’infiltrarsi in Iraq per fomentare il caos" (titolo, 16 aprile)
Newbury
"Per l’Iraq meglio il modello Usa di Germania e Giappone, o quello più inglese dell’Italia del 1943?". (titolo, 16 aprile)
La resa
"La resa di M. Jacques". (titolo editoriale, 16 aprile)
Praticabilità
"Iraqi Freedom torna però ad affermare la piena praticabilità di operazioni militari su vasta scala, in tempi e con perdite (militari, ma anche civili) assai contenute rispetto al passato, e tali da poter essere considerate "giuste e adeguate ai fini" da parte di governi occidentali e, soprattutto, da parte dei loro elettorati". (16 aprile)
Issimo
"Altissimo, levissimo, falchissimo – Grande performance del Cav. al Partenone, tra Pericle e Wolfowitz" (editoriale 17 aprile)
Sistani e Sadr
"Il 72enne ayatollah Alì Sistani di Najaf, la più alta autorità religiosa sciita irachena, appare come il più disponibile a esercitare un prudente ruolo di fiancheggiamento dei processi politici civili, nel più pieno rispetto della scuola Akhbari, intrisa di quietismo politico; la sua fatwa che impegnava i fedeli a ‘non ostacolare’ l’azione bellica anglo-americana ne è stato un esempio. Da giorni, però, al Sistani si trova in una situazione poco chiara e forse è ancora prigioniero di un gruppo di fanatici sciiti, capeggiato dal 22enne Muqtada Sadr (figlio di un grande ayatollah ucciso da Saddam), che lo vogliono mandare in esilio dopo aver trucidato il moderato ayatollah Abdul Majid al Khoei, appena tornato da Londra" (18 aprile)
Il predecessore di Bremer
"Arriva Jay Garner, se ne pentirà?" (titolo, 22 aprile)
Farsi notare
"Altri, come il ventiduenne Moqtada Sadr cercheranno soprattutto di farsi notare". (22 aprile)
25 aprile
"L’unico atto concreto di antifascismo del nostro tempo, la cacciata dal potere del fascismo baathista di Saddam. Quel tipo di antifascisti stavolta dovrebbe starsene a casa". (editoriale, 23 aprile)
Sciiti
"Oggi gli americani intendono esportare in Iraq il modello democratico occidentale. Per raggiungere questo risultato nessuno aveva mai pensato di doversi appoggiare all’elemento sciita, soprattutto per timore di un’eventuale interferenza iraniana. Ma la prova di forza offerta in questi giorni dagli sciiti iracheni, che si sono inseriti nel vuoto di potere lasciato dalla caduta del regime baathista, cambia il quadro della situazione. Sarà probabilmente impossibile fare a meno degli sciiti nella creazione del nuovo Iraq. Soprattutto, una loro nuova sconfitta politica, una loro esclusione dal futuro governo del paese, potrebbe davvero aprire il vaso di Pandora del fondamentalismo religioso islamico, anziché sviluppare le tendenze più razionalistiche e moderate dello sciismo iracheno". (25 aprile)
Funghi
"Dossier sui funghi e le micotossine fanno sospettare che i servizi segreti iracheni stavano lavorando alla produzione di sostanze batteriologiche letali. Sul tavolo del laboratorio è abbandonato un dossier dal titolo emblematico: Prove biologiche sugli alimenti". (26 aprile)
Così
"Così Rumsfeld si prepara a cambiare l’esercito Usa dopo Iraqi Freedom". (titolo, 29 aprile)
Se
"Saddam (se è vivo)". (titolo, 3 maggio)
Possiamo essere sicuri
"Se Seymour Hersh scrive che le armi proibite non si troveranno, possiamo essere sicuri del contrario, questo è ‘l’indicatore principale che le armi di distruzione di massa in Iraq si troveranno’, sostiene una nota di Jack Shafer, uno dei principali blogger di Slate". (9 maggio)
Major war
"Si può discutere se quella all’Iraq sia stata una ‘major war’. Ma probabilmente non ci si sbaglia di molto a sostenere che gli Stati Uniti non hanno ancora deciso come affrontare, con quale tipo di ‘istituzionalizzazione’ internazionale, e con che grado di ‘moderazione strategica’, questo dopoguerra". (14 maggio)
Rummy e Tommy
"Donald Rumsfeld il vittorioso per una volta ha trovato pane per i suoi denti. Perché tra i vertici militari americani c’è un’unica figura il cui prestigio in Iraqi Freedom si è accresciuto in maniera altrettanto esponenziale di quello del segretario alla Difesa. Ed è proprio colui che in questi giorni sta opponendo un energico no alla richiesta di Rumsfeld. Stiamo parlando del generale Tommy Franks". (14 maggio)
Sorpresa
"Sorpresa, anche il comandante Bush è vulnerabile L’economia, le armi che non si trovano e Riad". (titolo, 15 maggio)
Guai
"Guai grossi in Iraq, un leader repubblicano lancia l’allarme". (titolo, 24 maggio)
Futuro
"Non c’è più l’Iraq di una volta Primi passi di un paese che ora ha progetti per il futuro". (titolo di un inserto, 28 maggio)
Progetto iniziale
"Il progetto iniziale di Donald Rumsfeld e di Richard Perle si basava su due assunti: centralità dell’Iraqi National Congress (Inc) di Ahmed Chalabi e ruolo preminente delle gerarchie militari irachene che l’Inc e l’Ina, di Ayad Alawi avevano garantito sarebbero passate dalla parte degli Stati Uniti durante la guerra. Nulla di tutto questo si è però verificato: durante le tre settimane di guerra sono andate a segno soltanto alcune operazioni coperte di compravendita di gerarchi militari; il corpo dell’esercito o si è sfaldato, o ha malamente resistito, ma una cosa, sicuramente non ha fatto: non ha collaborato. Le stelle di Chalabi e di Alawi, già ferocemente osteggiati dal Dipartimento di Stato e dalla Cia, hanno iniziato sempre più a declinare e con esse quello che doveva essere il baricentro politico su cui gli Stati Uniti dovevano costruire tutto il nuovo edificio statale iracheno". (28 maggio)
Tanto, tanto pragmatismo
"Risolto con nettezza l’equivoco Chalabi con il suo ridimensionamento, Bremer ha preso nei giorni scorsi due decisioni nette. La prima, scontata, è la messa fuori legge del Baath. Ecco allora che Bremer ha deciso una mossa radicale. Innovando completamente la prassi adottata in Germania nel ’45 ha decretato un’epurazione totale e assoluta. Il modello Norimberga (duro processo ai vertici del regime, fin troppa tolleranza in funzione antisovietica in periferia) è stato abbandonato, a favore di una totale rigidità nel rinnovamento anche periferico. Lo scioglimento totale dell’esercito con eccezione di ‘impiegati, parenti di vittime del regime ed elementi già in pensione’ e di tutti i corpi militari iracheni, Guardia nazionale in testa, è stata così la logica conseguenza di questa linea di ricostruzione da zero. Tabula rasa, quindi, totale preminenza nella ricostruzione allo sforzo per fare funzionare i servizi civili di base, pagamento di stipendi e pensioni in testa, disarmo obbligatorio delle milizie selvagge che si sono create con la caduta del regime e tanto, tanto pragmatismo". (28 maggio)
Elogio della debaathificazione
"Il punto vero è quella che Chalabi, e non solo lui, chiama la debaathification, purgare il paese dal Baath, che è il peggio, il concentrato, del panarabismo introdotto dall’egiziano Nasser. Debaathificare l’economia, ricostruendo il libero mercato, perché tutte le imprese e compagnie o sono statali o sono miste, che è peggio, perché il cosiddetto capitale privato veniva messo in mano a gente del Baath e ritornava nelle stesse tasche, come per la Pepsi Cola, come per l’Agenzia nazionale del turismo, addirittura in mano ai servizi segreti. Debaathificare l’educazione, il 65 per cento degli iracheni ha meno di venticinque anni, è cresciuto in un sistematico lavaggio del cervello. Basta andare in una libreria, vedere che cosa veniva prodotto, ci sono 250 libri best seller che hanno per autore Saddam. Su ogni testo scolastico, su ogni matita, c’è scritto dono di Saddam. L’educazione è completamente da rifondare, o sarà il disastro". (29 maggio)
Si può fare
"Si può fare, è una transizione di almeno due anni, durante i quali americani e inglesi naturalmente devono restare, a garantire l’integrità territoriale, a proteggere la democratizzazione, a evitare ingerenze esterne da parte di vicini aggressivi". (29 maggio)
Food for Saddam
"Oil for food in realtà significava: tangenti per Saddam" (titolo, 30 maggio)
Un piano
"Baghdad sente la minaccia sciita, gli americani hanno un piano per governarla" (titolo, 3 giugno)
Epoca
"Una guerra che farà epoca". (titolo di un inserto, 4 giugno)
Decisione e aiuti
"Hamas colpisce ancora, ma Sharon ha già deciso di smantellare la sua cupola. Abu Mazen lo aiuterà?". (titolo, 12 giugno)
Le armi dividono
"Nel dibattito sugli arsenali che non si trovano Bush rischia qualcosa, i suoi rivali di più". (titolo, 24 giugno)
Finirà
"Per la Cia Saddam è in Iraq. Preso lui, finirà la guerriglia". (titolo, 25 giugno)
Passarsela bene
"L’asse del male non se la passa bene" (titolo di un inserto, 26 aprile)
L’ora
"E’ l’ora degli ayatollah, supereranno indenni l’estate di Teheran?" (titolo, 26 aprile)
Salò
"I repubblichini di Tikrit Gli attentati in nome di Saddam e l’abuso del termine "resistenza" (editoriale, 26 giugno)
Regole
"Regole per amministrare il mondo Perché l’America non può non essere un Impero" (titolo di due pagine di inserto, 27 giugno)
Sarà
"L’esercito di Baghdad sarà made in Usa" (titolo, 9 luglio)
Ridimensionata
"Paul Bremer ha pronto il nuovo governo provvisorio per l’Iraq Ridimensionata la diaspora di Chalabi". (titolo, 12 luglio)
Lusso
"La democrazia non è un lusso da paesi ricchi Robert Kagan contro Fareed Zakaria e la sua tesi sui benefici delle ‘autocrazie liberali’, un eufemismo per difendere le dittature" (titolo di due pagine di inserto, 12 luglio)
Meriti
"Nigergate, in ombra i tanti meriti di Tenet (Cia)" (titolo, 16 luglio)
Le democrazie mentono?
"Le armi e le bugie che non si trovano. In politica si dicono solo verità politiche" (editoriale, 16 luglio)
Contrordine
"Contrordine al Monde, il Consiglio iracheno è un miracolo di Bremer", (titolo, 17 luglio)
Un po’ utili
"Nel nuovo Iraq c’è un po’ di caos ma anche molti utili Internet café" (titolo, 18 luglio)
Mercenari
"In al Qaida c’è anche chi combatte per soldi" (titolo, 18 luglio)
Largamente rappresentativo
"Il segretario generale dell’Onu aveva fatto il primo passo raccomandando piena legittimazione del governo ad interim installato dagli occupanti a Baghdad. ‘Un partner largamente rappresentativo con cui le Nazioni Unite e la comunità internazionale possono impegnarsi’, lo definisce" (22 luglio)
Al limite
"I piani di Rumsfeld per una macchina militare giunta al limite" (23 luglio)
Funzionano
"Ora le taglie sui saddamiti funzionano perché il clan baathista siro-iracheno si sta sfaldando" (30 luglio)
Tempo e soldi
"Uno studioso inglese contro l’ipocrisia. Democrazia e sicurezza richiedono tempo e soldi". (titolo a saggio di Niall Ferguson)
Guerriglia e videotape
"La guerriglia irachena colpisce con i video prima (e più) che con le armi" (2 agosto)
Quel che non convince
"Quel che non convince del dopo Saddam Il barometro del mondo arabo non segna ancora schiarite di pace Se l’Iraq non si piace democratico, Bush deve cercare una via d’uscita" (titoli di due articoli, 6 agosto)
La metamorfosi del mostro
"Al Qaida ferita sopravvive trasformandosi. L’Occidente pure Perché non è facile distruggere la rete di Osama bin Laden e quali sono gli strumenti da usare. Analisi e idee" (titolo, 7 agosto)
Soft power
"Raid più soft e soldati-psicologi per avere il consenso in Iraq" (9 agosto)
Il nuovo Iraq
"Il Sud doveva esplodere, qui invece la guerriglia non c’è e la ricostruzione è iniziata" (13 agosto)
"Cinico, ma vero"
"Alla guerra fa bene un esercito privato" (13 agosto)
Addio all’Onu
"I rischi per il presidente americano e il suo staff sono alti. Ci vogliono molti soldi per stabilizzare l’Iraq, come ha detto il suo amministratore provvisorio Paul Bremer; ci vuole tempo e secondo alcuni esperti il raddoppio delle truppe attualmente impegnate. La situazione è ovviamente critica, alcuni errori di sottovalutazione delle difficoltà del dopoguerra sono stati compiuti (sebbene la valutazione dei fatti sul terreno sia distorta da mille parzialità e acrobazie del circo dei media), e sarebbe assai meglio per tutti se l’Occidente non si fosse diviso e le Nazioni Unite non avessero rifiutato di assumersi le loro responsabilità, insomma se la strategia di George Bush, Colin Powell e Tony Blair non fosse stata tradita e infilzata dal vano veto francese, tanto più nullista in quanto incapace di aggregare una significativa alternativa di leadership o di coalizione". (editoriale, 15 agosto)
Nato
"E se la nuova Nato prende il posto dell’Onu da Kabul all’Iraq?" (15 agosto)
Consigli
"Qualche consiglio per la presidenza italiana dell’Ue che vuole collaborare con l’Onu e l’America" (21 agosto)
Il fratello
"Frederick, il Kagan che contesta la strategia di Rumsfeld Per lui la Net war permette di vincere gli scontri militari, ma vincere le guerre, cioè piegare il nemico, è altra cosa" (21 agosto)
I primi 100 giorni senza Saddam
"L’8 agosto scadono i cento giorni dalla fine delle principali operazioni di combattimento in Iraq". "Risultati in Iraq: cento giorni per la conquista della sicurezza e della libertà" è un resoconto dei maggiori successi che gli iracheni dell’era post Saddam condividono con i rispettivi partner nel rinnovamento del loro paese". (inserto, 22 agosto)
Postfascista
"L’Iraq postfascista non è ancora un paese sicuro, non è ancora il paese dei sogni della Casa Bianca, ma oggi ospita un popolo che ha finalmente una speranza di futuro migliore" (22 agosto)
Le pulci
"Chi fa le pulci (serie) a Rumsfeld consiglia: più soldati iracheni contro la ‘guerricciola’ " (titolo, 22 agosto)
Cercate
"Cercate le armi del rais nell’uscita di sicurezza del Kgb, dice un’ex spia brezneviana" (titolo, 22 agosto)
I neocon
"I neocon che convinsero Bush a liberare l’Iraq ora gli dicono, spazientiti, di inviare più soldi e più truppe Liberare Baghdad è stato un grande risultato, ma serve più decisione per evitare il disastro" (26 agosto)
Quando le cose vanno male
"La coalizione che ha liberato l’Iraq non ha ancora trovato le armi di distruzione di massa e non è riuscita ancora a scovare Saddam Hussein. Una visibile e forte leadership irachena stenta a costruirsi. Il partito terrorista sunnita e wahabita è ancora abbastanza forte e infligge perdite quotidiane che affliggono l’opinione pubblica americana a due anni dall’11 settembre, oltre a rallentare sensibilmente lo sforzo di ricostruzione delle infrastrutture civili e a far salire il prezzo finanziario del dopoguerra diffondendo il morbo dell’insicurezza". (editoriale, 30 agosto)
Non
"Missione non compiuta" (titolo, 4 settembre)
Pesante
"L’estate fu pesante per i liberatori" (editoriale, 9 settembre)
Idealisti in rivolta
"Né partito né lobby, i neocon contro il Pentagono con idee considerate impolitiche" (titolo, 11 settembre)
Chi
"Chi non muore si rivede, e non è il caso di bin Laden" (16 settembre)
Fallujah
"Non saranno i banditi di Fallujah, nemmeno rafforzati dalle reclute fresche di al Qaida, a spiantare l’Occidente e la strategia preventiva anti-caos" (editoriale, 24 settembre)
Antifascista
"I neocon criticano Bush perché non spiega che è una guerra antifascista" (titolo, 30 settembre)
Danni
"Gli imperi fanno le Costituzioni, gli irredentisti e l’Onu danni gravi" (titolo, 1 ottobre)
Sì
"Schroeder dice di sì sull’Iraq" (3 ottobre)
Sano
"In Iraq è nato il nuovo esercito. E’ uno, trino, piccolo e sano" (9 ottobre)
Sciiti
"L’Iran soffia sugli sciiti d’Iraq perché escano dal governo" (17 ottobre)
Bremer ordinò
"Lo scioglimento dell’esercito di Saddam ha aggravato i problemi" (titolo, 28 ottobre)
Cattivo
"Saddam, cattivo soldato e provetto terrorista, torna alle origini" (titolo, 29 ottobre)
Forum
"Chi sta vincendo la pace?" (inserto 31 ottobre)
Gentile
"L’America è stata troppo gentile in Iraq, non lo pensa soltanto Chalabi" (4 novembre)
Già sciolto
"Gli americani non pensano che si sia trattato di un errore ‘perché spiega Dassù dicono che l’esercito era già sciolto’ " (4 novembre)
Drammatico Iraq
"Gli attacchi a Baghdad. Falluja centro del terrore. La paga dei saddamiti" (titolo, 5 novembre)
Non c’entra
"Ecco il piano clear and hold, il numero dei soldati non c’entra" (titolo, 5 novembre)
Conseguenza
"Il terrorismo pesante è conseguenza della guerra leggera" (titolo, 14 novembre)
Bicchiere
"L’Iraq è mezzo pieno o mezzo vuoto?" (inserto, 22 novembre)
Altro che
"Altro che fuga da Baghdad, francesi e tedeschi vogliono andarci" (editoriale, 12 dicembre)
Catturato Saddam
"Questo non vuol dire che gli attacchi contro gli iracheni e le forze della coalizione cesserranno. Ce ne saranno altri, purtroppo. Saddam non era il nostro unico nemico, restano i regimi terroristi siriani e iraniani" (15 dicembre) (3. fine)