Milano. Se finanche Vittorio Zucconi ha fatto un elogio della tosta testimonianza di Condoleezza Rice davanti alla Commissione sull’11 settembre, deve essere andata davvero bene per il Consigliere di George Bush. La sua tanto attesa deposizione era stata presentata come un evento politico "storico", come la chiave di volta per inchiodare l’Amministrazione Bush alla responsabilità di non aver prevenuto l’attacco in quei sette mesi e mezzo precedenti l’11 settembre. Tutti i network americani, Abc, Cbs, Nbc, Fox news, Cnn e Msnbc hanno interrotto la programmazione abituale per le quasi tre ore dell’udienza. Tutti i giornali, ieri mattina, sono però rimasti delusi: non c’è stata nessuna grande rivelazione, se non una favorevole a Bush, e Rice non ha commesso errori né è caduta in contraddizione né ha messo in difficoltà il presidente. Una sola volta, a una domanda, ha risposto con un "non ricordo", ma è sembrato pochino anche ai più feroci oppositori. Sul fronte italiano s’è puntato molto sul fatto che Rice non abbia chiesto scusa o perdono alle vittime dell’11 settembre. L’articolo di Zucconi era titolato così, ma in realtà il cuore del suo commento era centrato sul fatto che i tentativi di cogliere in contraddizione Rice, e con la Rice anche Bush, non hanno fatto centro, "il carniere" è rimasto "vuoto", ha scritto Zucconi. La consigliera di Bush è riuscita "a uscire senza lividi". Solo chi non conosceva la secchiona Rice poteva sperare in una sua défaillance, anzi Condi "ha facilmente spuntato le rivelazioni dell’ex capo dell’antiterrorismo, Dick Clarke, sull’indifferenza di Bush davanti ad al Qaida". Non solo: Rice "ha ricordato che semplicemente non esiste il proiettile magico, il silver bullet che avrebbe potuto evitare le Torri Gemelle". In realtà New York Times e Washington Post non sono convintissimi di quest’ultima cosa. "E’ innegabilmente vero", ha scritto il Washington Post, che le risposte deboli contro il terrorismo risalgono a 20 anni fa, ma una prevenzione più efficace avrebbe potuto fermare il piano di al Qaida. Al New York Times, Rice è sembrata "ampiamente non convincente" quando ha cercato di dimostrare che Al Qaida è stata una priorità per l’Amministrazione Bush". Più conciliante la critica del Los Angeles Times che ha definito la testimonianza di Rice "una poderosa confutazione delle critiche". Entusiasta, invece, il New York Post che, in copertina, ha titolato: "La signora è una campionessa". Howard Kurtz, sul Washington Post, ha scritto che se c’è stata responsabilità della Casa Bianca, questa sarebbe da condividere con la stampa. Dal primo gennaio al 10 settembre 2001 il Washington Post ha citato Al Qaida solo 26 volte, il NY Times 42, il Los Angeles Times 19, il Chicago Tribune 14, Usa Today soltanto 2.
Ha scritto Tom Shales sul Washington Post: "Se volessimo vederla come una battaglia o come una gara sportiva, cosa che non è, allora Rice ha vinto. Davvero, il Consigliere per la Sicurezza nazionale ha fatto così bene ed è sembrata così sicura e al comando della situazione che non si capisce perché l’Amministrazione Bush abbia impiegato tempo ed energia per evitare che testimoniasse". Secondo l’articolista del Washington Post, "Rice è stata un modello di dignità e di compostezza". Parole simili a quelle di Dan Rather, volto storico dei notiziari della Cbs: "La performance della dottoressa Rice è stata seria e composta".
Alessandra Stanley, cattivissima critica tv del New York Times, ha notato come Condolezza Rice non abbia fatto nulla per attirare l’attenzione sul suo essere donna e nera. Al contrario "la sua performance misurata ha portato una boccata di realtà in un universo televisivo troppo spesso raggrumato di immagini distorte sulle donne nere". Il punto più alto della deposizione, ha scritto Stanley, è stato quando la Rice ha lasciato di stucco il commissario liberal Bob Kerrey che la incalzava: "Mi ricordo, signor Kerrey, un discorso che lei fece quando fu attaccata la Us Cole col quale diceva come probabilmente la miglior cosa da fare per rispondere all’attacco fosse occuparsi della minaccia di Saddam Hussein. La sua era una visione strategica, e noi abbiamo seguito quella visione strategica".
Andrew Sullivan ha tratto le conclusioni: "Abbiamo una fottuta guerra in corso e i grandi network si occupano di questo. Eravamo abituati a vincere le guerre prima di iniziare a rinfacciarci le responsabilità".
10 Aprile 2004