Sono passati quattro giorni, oggi è il quinto, da quando L’Espresso ha pubblicato le false fotografie delle torture britanniche in Iraq spacciandole per vere. La direttrice dell’Espresso, Daniela Hamaui, non si è ancora scusata, non ha ammesso di aver pubblicato una bufala, tantomeno si è dimessa. Vedremo che cosa scriverà sul prossimo numero. Intanto il quotidiano del medesimo gruppo, la Repubblica, è stato l’unico giornale italiano a non raccontare l’infortunio o la sconsideratezza o la negligenza o la scarsa professionalità o il pregiudizio ideologico del settimanale fratello. Né una errata corrige né una intervistina alla direttrice. Niente, nemmeno la notizia. Zitti anche i vertici del gruppo editoriale, gli omologhi dei proprietari del Daily Mirror, i quali invece hanno cacciato il loro direttore. Ma il gruppo l’Espresso-Repubblica è lo stesso che ha fatto finta di niente su Marco Lupis, il fantasioso corrispondente di Repubblica da Hong Kong. In quel caso nessuno informò i lettori, né con un riga di correzione né con una riga di scuse. All’italiana.

La sindrome Lupis colpisce anche i guardiani della corporazione giornalistica. Allora non mossero un dito in difesa dell’etica professionale né dei lettori turlupinati, anzi definirono "chiacchiere da bar" le prove contro Lupis, e "perdigiorno che vogliono screditare la categoria" coloro che chiedevano a Ezio Mauro almeno una riga di correzione sul suo giornale. Nel caso delle foto dell’Espresso, i solerti guardiani hanno difeso il direttore con una motivazione falsa: quelle foto del Mirror, hanno detto, sono state pubblicate da tutti i giornali. Solo che non è vero. I giornali si sono limitati a riprodurre le pagine del Mirror contenenti quelle immagini di torture. Il motivo è semplice: la veridicità di quelle fotografie è stata messa in dubbio fin dal primo giorno della pubblicazione. Per quindici giorni c’è stato uno scontro tra il Mirror e il governo inglese, a colpi di prime pagine e di comunicati, di conferenze stampa e di discorsi in Parlamento. Non vale, dunque, neanche la giustificazione secondo cui l’Espresso non avrebbe colpa perché quel numero è andato in stampa tra martedì e mercoledì, mentre la notizia della falsità delle foto è del giorno successivo. Giovedì c’è stata solo l’ufficializzazione del falso, i dubbi sono più remoti. L’Espresso non è stato vittima di un bidone, cosa che può capitare. Ha pubblicato un bidone nonostante tutti sapessero che le foto erano quasi sicuramente taroccate.

Il giornalismo alle vongole spaccia notizie false, sapendo che sono false, e non si scusa. C’è chi dice che i vertici dell’Espresso fossero all’oscuro del dibattito che si stava compiendo in Gran Bretagna. Fosse vero sarebbe un’aggravante. Altrove succede l’opposto. I vertici della Bbc si sono dimessi dopo che il loro cronista aveva esagerato le accuse contro Tony Blair. Lo stesso ha fatto il direttore del New York Times dopo gli imbrogli di Jayson Blair. Stessa sorte, il mese scorso, per il direttore di Usa Today. Nei giorni scorsi, il Boston Globe si è scusato in ginocchio per aver pubblicato la foto di una conferenza stampa (vera) nella quale un gruppo di pacifisti mostrava le diapositive (false) di stupri americani in Iraq.

Il Corriere della Sera ha dato un aiutino a Repubblica. Domenica ha scritto che "l’articolo dell’Espresso non fa una piega: informa che il tabloid è stato accusato di aver pubblicato foto false". Non è vero. L’articolo fa duemila pieghe. Non fa alcun cenno alle accuse, non mette in dubbio l’autenticità delle foto, né nell’articolo né nel titolo né nel sommario né nelle didascalie. L’Espresso ne scrive in un boxino, prendendole per vere.

Qual è la sintesi di Repubblica sullo scandalo del Mirror? Sabato l’articolo di Enrico Franceschini cominciava così: " Tempi duri per i giornalisti". Cioè, per Franceschini aver pubblicato un falso è la prova del pericolo che corre oggigiorno la libertà di informazione. Fosse vero si spiegherebbe perché ogni due per tre Repubblica pubblichi allarmi sul nuovo fascismo imperante. Franceschini conclude: Il Mirror "ha usato foto false per denunciare le torture, sebbene l’esistenza delle torture sia innegabile".

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