A Kabul si danza e si balla e a Baghdad di spara. Le immagini pubblicate su queste pagine sono eloquenti. Ci sono due capitali di due paesi mediorientali entrambi liberati da feroci dittature. I liberatori sono gli stessi, la campagna è la medesima, i tempi ravvicinati, le modalità molto simili. Kabul è stata liberata il 13 novembre del 2001, diciassette mesi dopo è toccato a Baghdad. Eppure, da una parte sembra che si stia bene, dall’altra sembra che si stia male.
Il direttore del Manifesto, Valentino Parlato, giornalista non sospettabile di simpatie per gli invasori americani in Medio Oriente, è andato in Afghanistan e ha raccontato per il suo quotidiano comunista la vita di Kabul, le sue strade, i suoi bazar, i mercati, il traffico che sembra Napoli, i taxi gialli, il lindo ospedale di Emergency e così via. L’Afghanistan è ben lontano dall’essere definitivamente pacificato, basta uscire da Kabul per accorgersi che il presidente Amid Karzai non esercita il suo potere su tutto il paese ma, certo, nella capitale la vita è ripresa con una grande speranza nel futuro. Non c’è più il Medioevo imposto per legge islamica dai talebani. Ora le donne, se vogliono, sono libere di girare senza il burka che le ingabbiava. Ora si può andare al cinema, si può ascoltare musica, non ci sono più le lapidazioni. Non è una bazzecola.
La guerra in Afghanistan è stata la prima risposta americana all’attacco subito l’11 settembre 2001. In quel momento è partita la campagna globale contro Al Qaida e contro gli Stati che sostengono, finanziano e offrono ospitalità ai gruppi terroristici. Un anno dopo l’America e la Gran Bretagna hanno invaso l’Iraq di Saddam Hussein, il regime accusato di avere lo stesso progetto politico di Osama Bin Laden: conquistare il mondo arabo, colpire l’America, distruggere Israele. E’ trascorso più di un anno da quando è stata abbattuta la statua del dittatore. Eppure le immagini di Baghdad sono diverse da quelle di Kabul ben raccontate da Parlato. A Baghdad ci sono ancora attentati e gli americani sono costretti a vivere all’interno della linea verde che delinea la cittadella militarizzata e iper protetta, fuori dalla quale sono in pericolo. Gli scontri sono prevalentemente a Sadr City, il sobborgo sciita della capitale, feudo delle milizie islamiste di Moqtada Al Sadr, l’uomo che vorrebbe importare in Iraq la teocrazia iraniana.
Un anno dopo la liberazione Baghdad vive ancora la guerra, nonostante provi a uscirne. C’è una nuova moneta e c’è una costituzione provvisoria, le scuole e le università sono aperte, sono stati fondati più di cento giornali, i tetti delle case sono coperti dalle antenne paraboliche che prima il regime vietava. Sono arrivati i telefonini, gli Internet point ed è stata messa in circolo una piccola porzione dei venti miliardi di dollari stanziati dal Congresso americano per la ricostruzione del paese. Il primo luglio gli iracheni cominceranno ad autogovernarsi, ed entro la fine di gennaio 2005 voteranno liberamente per la prima volta. L’obiettivo è di riuscire a catturare anche a Baghdad l’immagine di felice normalità come quella pubblicata a sinistra. Ma ci sono ancora parecchie cose da risolvere prima che le due foto diventino una sola.
– La più grande differenza tra Kabul 2004 e Baghdad 2004 è politica. Kabul appare pacificata perché a governare sono gli afghani; Baghdad sembra in guerra perché l’Iraq è ancora guidato dagli americani. C’è da aspettare il trasferimento dei poteri di luglio e poi, ancora, il giorno delle elezioni. Ci sta lavorando l’Onu, con i suoi inviati Lakhdar Brahimi e Carina Perelli.
– A Kabul c’è quello che a Baghdad non si trova. In Afghanistan è stato individuato in Amid Karzai un presidente che avrebbe unificato il paese. In Iraq non c’è nessun Karzai. Il motivo è semplice, Saddam uccideva i suoi rivali. I suoi vice sono troppo compromessi con i crimini del regime per poter essere riabilitati. Gli esuli rientrati in patria alla caduta del dittatore, sono perfetti sconosciuti in un paese dove per trent’anni è stato proibito anche solo pensare ad un altro leader al di fuori di Saddam.
– La società tribale afghana è complessa, ma l’Iraq è un paese diviso fra tre comunità: i curdi al nord, i musulmani sunniti al centro, i musulmani sciiti al sud. Ai tempi di Saddam il potere era in mano alla minoranza sunnita, mentre i curdi e gli sciiti erano gasati, uccisi o torturati. Ora è difficile trovare l’equilibrio. I sunniti temono le vendette della maggioranza sciita, mentre sciiti e curdi vorrebbero la garanzia di non finire nella mani di un altro dittatore sunnita.
– Il presidente afghano Karzai è poco più che il sindaco di Kabul, ma è già un successo clamoroso per un paese che da oltre venti anni, con tutte le guerre che ha combattuto, non è più uno Stato. Altra cosa è l’Iraq, uno Stato totalitario e onnipotente. A Kabul si è ripartiti da zero, dalle macerie. A Baghdad ci sono ancora i nostalgici del vecchio regime.
– Guardate la cartina geografica. L’Afghanistan è circondato da paesi che combattono la guerra al terrorismo, con l’eccezione dell’Iran. L’Iraq, invece, fatta salva la Turchia, ha intorno a sé soltanto paesi dell’Asse del male o sospettati di esportare terrorismo: la Siria, l’Iran e l’Arabia Saudita. Sono loro a non avere interesse che a Baghdad si possa scattare la foto di Kabul.