Camillo di Christian RoccaKerry copia conforme

Milano. "Oggi stiamo combattendo una guerra globale contro un movimento terrorista deciso a distruggerci. I terroristi di al Qaida e i killer che li emulano sono diversi da qualsiasi avversario la nostra nazione abbia mai affrontato. Da presidente il mio primo obiettivo di sicurezza sarà prevenire che i terroristi acquisiscano armi di uccisione di massa. Al Qaida è una rete con molte diramazioni, così dobbiamo portare la battaglia sul territorio del nemico, in ogni continente, e arruolare gli altri paesi alla nostra causa".
Riconoscimento del nemico, pericolo di armi di distruzione di massa, azioni preventive, portare la battaglia nei luoghi dove si trova il nemico ("take the fight to the enemy on every continent"), se pensate alle solite sbruffonate neocon di George W. Bush sbagliate di grosso. Queste parole sono "l’architettura di una nuova", in realtà non tanto nuova, "politica di sicurezza nazionale" elaborata da John Kerry, il candidato Democratico alla Casa Bianca. Dopo giorni di afasia sull’Iraq e sui temi della sicurezza, il senatore è uscito alla scoperto, a Seattle, per spiegare come vincere la guerra al terrorismo. Kerry, fin qui, ha criticato aspramente "l’arroganza" del presidente ma si è guardato bene dal proporre visioni alternative o di disimpegno dal medio oriente (quella posizione in America vale il 2 o 3 per cento, ed è quella di Ralph Nader).
I consiglieri di John Kerry credevano che la strada migliore per vincere il 2 novembre fosse lasciare implodere l’Amministrazione. Non avevano fatto i conti con Bush, il quale lunedì sera ha esplicitato un programma di democratizzazione dell’Iraq, stilato d’accordo con l’Onu, che avrebbe potuto essere sottoscritto anche da Kerry. Per smarcarsene e non apparire soltanto come un soggetto politico passivo, Kerry ha annunciato tre importanti discorsi sulla politica estera che, da qui ai prossimi undici giorni, sveleranno la sua visione del mondo e delle sfide poste dai terroristi.
Lo sfidante di Bush ha parlato ieri notte a Seattle, mentre martedì si occuperà di terrorismo e di armi di sterminio. Il 3 giugno, infine, spiegherà come riformerà la forza militare americana. Un assaggio è stato già fornito da un comunicato stampa proveniente dal suo comitato elettorale: "Kerry ha sottolineato che l’America dovrà sempre essere il supremo potere militare del mondo", una frase che fa impallidire i neoconservatori del Project for a New American Century. Kerry ha specificato che se spettasse a lui guidare una missione militare manderebbe un numero di truppe alto abbastanza da vincere non soltanto la guerra, ma anche la pace. La critica alla "guerra leggera" di Donald Rumsfeld è evidente. "La mia strategia ­ ha detto Kerry ­ riguarda non soltanto che cosa dobbiamo fare, ma anche che cosa dobbiamo prevenire. Dobbiamo assicurarci che gli Stati fuorilegge e i terroristi non si armino con armi di sterminio". Aggiunge il comunicato stampa: "Kerry ha enfatizzato la necessità di una forza che vada incontro alle esigenze di difesa del territorio nazionale, che colpisca le minacce prima che raggiungano le nostre coste e che prevenga l’eventualità che armi cadano nelle mani di Stati fuorilegge e terroristi". L’America di Kerry dipenderà meno dal petrolio mediorientale, punterà sulle alleanze internazionali e su un maggiore sforzo diplomatico, economico e di intelligence. "In gioco ­ ha detto ­ c’è la visione di un’America davvero più forte e davvero rispettata nel mondo". Il suo primo "imperativo" da presidente sarà quello di costruire una "coalition of the able", una "coalizione dei capaci", formula molto simile ai willing, ai volenterosi, di Bush.

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