Camillo di Christian RoccaRumsfeld si difende

Washington. Un minuto prima delle dodici, ora della costa orientale, il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld si è alzato in piedi, ha levato in alto la mano destra e ha giurato di dire la verità, tutta la verità. Ieri mattina, al Senato, è cominciata così, l’audizione di Rummy per spiegare al paese gli abusi dei soldati americani in Iraq.

Tutti si chiedono, ha detto Rumsfeld, chi abbia la responsabilità delle terribili azioni di Abu Ghraib. E’ avvenuto tutto sotto il mio controllo. Sono io il capo della catena di comando del Pentagono, sono responsabile, ho la piena responsabilità di ciò che fanno i nostri uomini in Iraq, sia i tanti che si fanno onore sia i pochi che hanno commesso gli orrori di cui stiamo parlando. E’ mio obbligo valutare che cosa sia successo, per essere certi che chi ha commesso queste azioni sarà giustamente punito e per fare in modo che questo non accadrà mai più. Provo orrore per quello che è successo a questi detenuti iracheni. Sono esseri umani. Erano in custodia americana, il nostro paese aveva l’obbligo di trattarli bene. Non lo abbiamo fatto e abbiamo sbagliato. Le vittime abbiano le mie più profonde scuse, quegli orribili maltrattamenti non hanno niente a che fare con i nostri valori, sono comportamenti non americani.
Rumsfeld ha raccontato anche il disgusto che i vertici del Pentagono hanno provato quando sono arrivate le fotografie degli abusi. Era il dicembre del 2002, le prime inchieste sul trattamento dei prigionieri sono cominciate un anno e mezzo prima che la rete televisiva Cbs mandasse in onda le foto. Nel gennaio 2004 è cominciata l’inchiesta sul caso specifico delle foto rese note in questi giorni. In giro, ha detto il generale Richard Myers, ce ne sono molte altre, che prima o poi verranno pubblicate. Seguiranno altre polemiche e altri danni per i progetti americani in Iraq.
I casi sotto inchiesta sono 35. Dodici iracheni sarebbero morti per cause naturali, dieci a causa dei maltrattamenti, il resto non si sa ancora. Rumsfeld ha annunciato che nominerà una commissione di ex ufficiali che riesaminerà le inchieste già avviate. In 45 giorni ci sarà un ulteriore riscontro ma già adesso, ha detto Rumsfeld, il Pentagono risarcirà "in modo adeguato" le vittime degli abusi. A una domanda del senatore Ted Kennedy, Rumsfeld ha risposto che non è vero che il suo Dipartimento abbia tentato di nascondere i maltrattamenti. Nei mesi scorsi ci sono state molte conferenze stampa, ha detto Rummy, durante le quali i nostri generali hanno denunciato gli abusi di cui di volta in volta sono venuti a conoscenza. E lo hanno fatto davanti alla stampa internazionale: "Tutto il mondo sapeva", ha detto Rumsfeld. Nessun insabbiamento, ha confermato Myers.
John McCain, senatore repubblicano dell’Arizona, ha avuto uno scambio serrato con Rumsfeld. Voleva sapere di chi fosse la responsabilità degli interrogatori. Rumsfeld e i generali hanno ribadito che nessuno ha mai obbligato gli agenti a torturare i prigionieri: "In Iraq rispettiamo la Convenzione di Ginevra". Le dichiarazioni iniziali di Rumsfeld sono state interrotte da quattro contestatori che hanno srotolato uno striscione e urlato di "licenziare Rumsfeld" (in inglese la frase era "Fire Rumsfeld", ma l’interprete italiana di RaiNews 24 ha tradotto con "sparate, uccidete Rumsfeld").

Quasi tutta la stampa contro
A Donald Rumsfeld i giornali di ieri mattina erano andati di traverso. Ieri non erano più solo i neoconservatori a chiedere le sue dimissioni. Il New York Times: "Se ne deve andare". Il Los Angeles Times: "Immediatamente". Newsday: "Bush vuole che rimanga ma per il bene del paese non è più certo che sia la scelta giusta". New Republic: "Sei stato licenziato". L’Economist: "Dimettiti". Rumsfeld ha incassato soltanto un cauto equilibrio del Washington Post, il sostegno del Wall Street Journal e qualche solidarietà qua e là. Bush, dopo averlo rimbrottato, gli ha confermato la fiducia. E lui al Senato ha detto: "Non mi dimetterò.
Giovedì sera, nonostante le parole di Bush, erano cominciate a circolare voci sulle sue dimissioni, confermate dal fatto che Rumsfeld aveva dato buca a un incontro pubblico a Filadelfia, dove al suo posto ha parlato il suo vice Paul Wolfowitz. Per tutta la mattinata di ieri, prima dell’audizione, Washington si chiedeva come e fino a che punto il tosto Rumsfeld si sarebbe scusato per i comportamenti "non americani" di qualche suo soldato. Rumsfeld si è scusato da "americano", nel corso di quel grandioso spettacolo che è la democrazia in diretta.

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