Ronald Reagan è stato a lungo un militante del partito Democratico, e se ne vantava molto. Amava ripetere: "Non ho lasciato il partito democratico, è stato lui ad avermi lasciato". Il suo repubblicanismo fu controverso. Cominciò la sua partita politica sfidando un presidente repubblicano in carica, Gerald Ford, mettendo in discussione i principi e l’ortodossia di partito. Reagan non fu soltanto l’idolo della destra religiosa, ma anche di quelle che in Europa la sinistra chiamava "masse operaie".
Nel 1980 sconfisse il presidente Jimmy Carter e, per l’occasione, fu varata una nuova categoria politica, "i Reagan Democrats", lavoratori e operai, sindacalizzati, cattolici, elettori del partito Democratico, che avevano fatto il Vietnam. Reagan li attrasse con il suo patriottismo, con l’anticomunismo ottimista e con una politica sociale conservatrice sull’aborto e contro il crimine. Un fenomeno simile a quello dei "Tory workers" che nella seconda metà dell’800 abbracciarono il conservatore inglese Benjamin Disraeli oppure a quello della "thatcherite working class" che grazie alle politiche liberalizzatrici della Lady di Ferro divenne proprietaria della propria casa e azionista delle società privatizzate.
I Reagan Democrats diventarono Repubblicani perché fu offerto loro un nuovo e non tradizionale partito antiestablishment e fortemente filoamericano, proprio mentre i Democratici venivano accusati di aver tradito il liberalismo delle origini, di essere diventati disfattisti, compagni di viaggio dei comunisti e succubi della cultura dei movimenti. L’antagonismo divenne egemone tra i Democrats, la gente che combatteva in Vietnam fu demonizzata, mentre i programmi di aiuti sociali furono cambiati sulla base dell’identità, della razza, del sesso, non più sulle classi. Il partito abbandonò i tradizionali temi della famiglia, dei quartieri, della sicurezza nazionale. Reagan intercettò gli scontenti, quegli americani medi che si riconobbero in un politico che come loro era stato new dealer, militante sindacale, attivista Democratico fino alla delusione per la deriva radicale del partito. L’emblema geografico dei Reagan Democrats era il Michigan, in particolare la contea di Macomb dove vivevano i metalmeccanici di Detroit che certo non potevano identificarsi in un partito salottiero che aveva nel pacifista George McGovern l’esponente più chic.
Reagan colmò quel vuoto, grazie anche alla copertura ideologica dei neoconservatori, i genitori degli attuali neocon di George W. Bush, gente come Irving Kristol e Norman Podhoretz, due dei più autorevoli intellettuali liberal di New York da anni critici con la sinistra americana. Reagan si avvalse di esponenti Democratici anche al governo. Oltre a Max Kampelman, lavorarono con Reagan l’ex assistente del senatore Democratico Henry "Scoop" Jackson, cioè Richard Perle, l’ambasciatrice Jeanne Kirkpatrick ed Elliot Abrams, oggi al Consiglio di sicurezza nazionale. Tra i Democratici per Reagan c’erano Max Wattenberg, già speechwriter di Lyndon Johnson, Samuel P. Huntington, Richard Pipes, Michael Novak, Joshua Muravchik. Uno di loro era anche il generale Wesley Clark. Al Congresso Reagan potè contare sull’appoggio di numerosi deputati Democratici, grazie ai quali i suoi giganteschi budget militari furono approvati. Phil Graham capitanava un gruppetto di Democratici del sud che spesso votò con Reagan, mentre lo stesso speaker della Camera, il Democratico Tip O’Neill, di volta in volta garantiva al presidente i voti necessari.
Bill Clinton si riprese i Reagan Democrats spostando il partito al centro , mentre il conservatorismo compassionevole di Bush è stato il tentativo di riportarli a casa. Il radicalismo attuale, alla Howard Dean, ha convinto invece il senatore della Georgia, Zel Miller, a fondare i Democrats for Bush.
10 Giugno 2004