Paul Wolfowitz, architetto della guerra in Iraq e della dottrina liberatrice ed esportatrice della democrazia in medio oriente, ieri ha scritto un articolo sul Wall Street Journal per spiegare, ora che Francia e Russia hanno dato l’ok al coinvolgimento pieno dell’Onu, le prossime tappe in vista del passaggio dei poteri agli iracheni previsto per il 30 giugno. Che cosa succederà dopo? Quali provvedimenti andranno presi per garantire il processo democratico e la sicurezza? Il sottosegretario alla Difesa ha delineato un piano che ha chiamato "road map per un Iraq sovrano". Wolfowitz si è affidato ai giovani iracheni, ben noti ai lettori del Foglio, che in questo anno di libertà hanno aperto un blog su Internet per poter esprimere il proprio pensiero: "Sappiamo che non possiamo proteggere tutti, compresi i nostri leader e i più alti funzionari che diventano obiettivi principali dei terroristi ha scritto Omar ma possiamo rendere i loro tentativi vani facendo in modo che la leadership sia sostituibile". Per Wolfie questa possibilità è quella che i nemici del nuovo Iraq temono di più.
La road map si articola in cinque fasi. La prima partirà il 30 giugno, quando il governo provvisorio erediterà i poteri dalla coalizione guidata da Paul Bremer. Ci saranno un presidente, due vicepresidenti, un primo ministro, un suo vice e 31 ministri. Costoro avranno la responsabilità, fino alle elezioni del gennaio 2005, dell’amministrazione ordinaria e saranno fondamentali per fornire la sicurezza di cui l’Iraq ha bisogno. I membri del gabinetto sono stati scelti attraverso un processo di ampie consultazioni con il popolo iracheno condotte dall’inviato Onu Lakhdar Brahimi. Il presidente è Ghazi al-Yawar, mentre il premier è Iyad Allawi. Il nuovo governo è diverso dal vecchio Consiglio governativo, solo 4 dei 26 membri del Consiglio sono entrati a far parte del nuovo organo. Sei sono le donne, "una cosa senza precedenti nella regione", ha commentato Zeyad, un altro blogger citato da Wolfowitz.
Il primo di luglio gli Stati Uniti apriranno una nuova ambasciata, guidata da John Negroponte. Cambierà anche il carattere dell’impegno americano. Gli iracheni decideranno come governare il proprio paese, ma gli americani resteranno per aiutare lo sviluppo democratico e assicurare la sicurezza. L’obiettivo, in questa fase, sarà quello di aiutare la transizione politica, addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza irachene e preparare le elezioni nazionali.
La sicurezza è il fondamento per la vittoria, scrive Wolfowitz, ma la chiave per la sicurezza è rendere gli iracheni capaci di occuparsi della propria difesa. Attualmente ci sono oltre 200 mila iracheni in servizio o in addestramento nelle cinque forze di sicurezza irachene che sono il nuovo esercito, il corpo di difesa civile, la polizia, le guardie di frontiera e il servizio di protezione. Il risultato, un anno dopo la liberazione, è eccezionale ma i numeri non devono ingannare. Queste forze dell’ordine non sono ancora in grado di farcela da sole, come hanno dimostrato le crisi di Fallujah e Najaf. Nei prossimi mesi, grazie anche ai nuovi fondi in arrivo, l’obiettivo sarà quello di affidare maggiore responsabilità agli iracheni, consentendo loro di prendere il controllo delle città e relegando le forze della coalizione a un ruolo di supporto. Contemporaneamente continuerà il processo di integrazione degli ufficiali iracheni nelle forze delle coalizione e il distaccamento di ufficiali della coalizione tra gli iracheni. Fondamentale sarà la costruzione di una catena di comando tutta irachena. Su questa lavoreranno i nuovi ministri della Difesa e dell’Interno.
Wolfowitz smentisce la notizia che la sicurezza di Fallujah sia stata affidata a un generale di Saddam. Mohammed Abdul-Latif, a una recente riunione di sceicchi, imam, capi tribali e consiglieri comunali, ha spiegato loro che le truppe americane "sono arrivate qui a causa delle azioni di Saddam, un codardo che si è rifugiato in una tana da topi. Dobbiamo dire ai nostri figli che le truppe americane sono arrivate qui per proteggerci. Possiamo aiutarli ad andarsene aiutandoli a fare il loro lavoro". Secondo Wolfowitz gli iracheni stanno facendo molto di più, tanto che 400 di loro quest’anno sono stati uccisi per la causa di un Iraq libero dal terrore. E nonostante le intimidazioni persistono a difendere il loro paese.
Il terzo punto del piano riguarda la ricostruzione delle infrastrutture civili, profondamente danneggiate da anni di inadempienze saddamite. I proventi del petrolio, fin qui quasi 20 miliardi di dollari, sono andati al Fondo per lo sviluppo dell’Iraq che finanzia le operazioni e i progetti di ricostruzione. Entro la fine dell’anno è prevista la disponibilità di altri 8 miliardi di dollari provenienti dai ricavi petroliferi. Questi soldi stanno già pagando i salari di più di 350 mila insegnanti e di 100 mila medici e infermieri. Circa 4 miliardi di dollari sono stati utilizzati per migliorare le infrastrutture elettriche e petrolifere, acquedotti, progetti di irrigazione, riaperture delle scuole e degli ospedali. La spesa sanitaria è aumentata di 30 volte rispetto ai livelli precedenti la guerra e per la prima volta da tempo sono cominciate le vaccinazioni per i bambini. Ma è necessario migliorare la produzione elettrica e petrolifera, entrambe obiettivo dei terroristi.
Il quarto punto prevede il sostegno internazionale alla transizione. L’Onu ha già avuto un ruolo importante e ora si occupa del processo elettorale. Fin qui 31 nazioni, oltre agli Stati Uniti, hanno truppe in Iraq, 70 paesi hanno già inviato soldi.
Al quinto punto le elezioni, tra sei mesi, per la nuova Costituzione, il referendum e, infine, il voto per la scelta del primo governo eletto direttamente, previsto entro la fine del 2005. La sfida principale, spiega Wolfowitz, sarà quella di fornire una sicurezza adeguata: "Gli assassini che hanno tenuto Saddam al potere e che temono un Iraq libero faranno di tutto, con il terrore e la violenza, per fermare questo progresso. Sono esperti in morte e distruzione, e non dovranno essere sottovalutati, ma non offrono nulla di positivo agli iracheni. I nostri nemici capiscono che l’Iraq ora è il campo di battaglia centrale della guerra al terrorismo. Ma il peso non è più soltanto sulle nostre spalle. In un tempo straordinariamente breve, i leader iracheni, nonostante tutte le diversità, hanno mostrato che stanno imparando l’arte del compromesso politico e sono impegnati per tenere unito il paese. Ora è arrivato il momento in cui gli iracheni si devono mostrare all’altezza della sfida. E’ l’ora che gli iracheni prendano in mano il futuro dell’Iraq".
10 Giugno 2004