Marco Follini magari sarà contento, l’Iraq voterà con il sistema proporzionale. E’ stato deciso il 15 giugno, appena due settimane fa, dall’ex amministratore della Coalizione, Paul Bremer, il quale ha ribaltato una prima indicazione del Consiglio governativo iracheno che intendeva suddividere il paese in 275 collegi elettorali, ciascuno dei quali avrebbe avuto un solo rappresentante all’Assemblea nazionale che sarà eletta il 2 gennaio prossimo. Con l’ordine esecutivo numero 96, Bremer e i suoi consiglieri del Dipartimento di Stato hanno preferito il sistema proporzionale puro, con le liste, i resti e tutto quanto.
L’idea di organizzare le elezioni con il sistema che privilegia la rappresentanza partitica piuttosto che il legame diretto tra eletto e territorio è condivisa dal team elettorale delle Nazioni Unite guidato dalla uruguayana Carina Perelli. La squadra dell’Onu, già rodata a Timor Est, da sei mesi prepara il terreno per le elezioni in Iraq. In questi giorni, tra l’altro, sta addestrando esperti iracheni in Messico, paese le cui regole elettorali sono state prese a modello dai funzionari delle Nazioni Unite.
Al lettore che dall’Iraq riceve informazioni di morte e devastazioni e nient’altro potrà sembrare curioso questo ragionare di modelli elettorali, ma sulle procedure della democrazia prossima ventura si è aperto un serrato dibattito tra gli esperti che lavoravano con Bremer. Se ne è fatto interprete e portavoce, Michael Rubin, analista dell’American Enterprise Institute, esperto di Iran e uno dei più giovani neoconservatori vicini all’Amministrazione Bush. Rubin ha lavorato per un breve periodo a Baghdad, poi è tornato negli Stati Uniti. Da due settimane scrive articoli di fuoco contro la scelta proporzionalista della coppia Bremer/Perelli. In un editoriale pubblicato dal Washington Post, Rubin ha denunciato il pericolo che corre la futura democrazia irachena a causa di questa scelta.
La stabilità del nuovo Iraq dipende dalla piena partecipazione di ogni singolo villaggio, che a sua volta coincide con un gruppo etnico o tribale o religioso, alla vita politica del paese. Se qualcuno restasse fuori sarebbe difficile una riconciliazione nazionale. Ecco perché, dice Rubin, è opportuno votare con il sistema dei collegi uninominali, l’unico a garantire che tutti i gruppi etnici radicati nelle varie zone dell’Iraq siano rappresentati. La Legge Transitoria prevedeva 275 distretti elettorali, ciascuno dei quali composto da 87 mila persone oppure da 40 mila elettori. Con il sistema basato sui partiti c’è il rischio di escludere quelle comunità etniche/territoriali che non sono affiliate né hanno intenzione di affiliarsi ad alcun partito. I cristiani caldei per esempio, e molti altri gruppi religiosi, vivono concentrati in determinate zone del paese che in questo modo non sarebbero rappresentate.
Rubin prende come esempio il caso di Fallujah, la città a nord di Baghdad che oggi è l’epicentro della guerriglia sunnita e filo Saddam: con il sistema dei collegi, gli abitanti di Fallujah avrebbero tre eletti all’Assemblea, i quali consentirebbero alla comunità di essere parte attiva della vita politica del paese. Con un unico collegio nazionale, invece, gli abitanti di Fallujah non riuscirebbero a ottenere il quorum, resterebbero fuori dall’Assemblea e continuerebbero a delegittimare il nuovo Iraq.
Secondo il neocon c’è un altro pericolo, forse ancora più grave: con il sistema di voto proporzionale, l’influenza delle potenze straniere sarà molto più efficace. Siria, Iran, sauditi ed Emirati continueranno a finanziare i partiti che fanno i loro interessi e per loro sarà più facile condizionare le elezioni. Con i collegi sarebbe molto più complicato, spiega Rubin, perché prevarrebbe l’appartenenza del candidato al territorio e il suo rapporto con la comunità.
In casi analoghi il sistema proporzionale non ha funzionato, come nell’ex blocco sovietico, oppure evoca scenari caotici di tipo libanese. Rubin ricorda il precedente giordano del 1989, quando dopo 33 anni si votò per la prima volta, ma con la proporzionale. Prevalsero i partiti fondamentalisti vicini ai Fratelli musulmani, mentre quando Abdullah passò ai collegi vinsero i moderati.
Rubin ammette che per americani e Onu sia più semplice organizzare elezioni in un’unica circoscrizione nazionale, piuttosto che disegnare i confini dei collegi, specie in zone etnicamente complicate come Kirkuk. Ma crede che questa operazione possa riuscire agli iracheni, ora che è stata finalmente realizzata l’originaria idea del Pentagono e dei neocon di trasferire subito la sovranità ai legittimi titolari.
30 Giugno 2004