Philip Roth ha scritto un nuovo libro. Uscirà negli Stati Uniti il 6 ottobre col titolo "The Plot against America", la congiura contro l’America. E’ un romanzo che racconta personaggi reali e un intreccio di fatti inventati, veri e verosimili ambientati negli anni Quaranta, sul modello di uno dei suoi capolavori, "Operazione Shylock", il libro con cui Roth ha affrontato con fiction mista a realtà la questione israelo-palestinese.
"The Plot against America" è un libro che spiega anche l’oggi, le campagne antisemite odierne e una certa tendenza occidentale di accusare sempre gli ebrei per i mali del mondo. E’ la storia di Charles Lindbergh, il famoso aviatore che guidò il gruppo parafascista e antisemita America First, il cui obiettivo era quello di non far entrare gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, la guerra per gli ebrei. Fin qui è tutto vero. Roth però immagina che Lindbergh si sia candidato alle elezioni presidenziali americane e che le abbia vinte battendo Franklin Delano Roosevelt. Poco dopo l’insediamento alla Casa Bianca, il presidente Lindbergh firma un patto di non belligeranza con Adolf Hitler, consentendo al Reich di conquistare l’Europa col consenso implicito del gigante americano. Sul fronte interno il presidente Lindbergh avvia una campagna di rieducazione degli ebrei americani che si concretizza con la deportazione dalle città alle campagne fino a una soluzione finale american way. Roth ambienta su questo sfondo di storia fatta con il se l’epopea della sua famiglia, i Roth di Newark, raccontata attraverso gli occhi del piccolo Philip di anni nove.
Il libro è stato annunciato dalla casa editrice Houghton Mifflin e da una breve segnalazione sull’inserto "Arte" del New York Times che però ha provocato una puntigliosa lettera di rettifica dello stesso Roth. Il Foglio non ha letto il libro ma da questo botta e risposta tra il New York Times e Roth si può cogliere l’essenza e l’attualità del romanzo. Il New York Times aveva scritto che il Lindbergh romanzato da Roth, nel corso di un discorso radiofonico, accusa gli ebrei di voler spingere l’America verso una guerra senza senso, se non quello del mero interesse ebraico, contro la Germania nazista. Roth ha preso carta e penna e il 5 marzo ha scritto una letterina al New York Times: "In realtà il vero Charles Lindbergh ha esattamente detto questo". Roth ha riportato un brano di un famoso comizio di Lindbergh a Des Moines nel quale diceva che "nessuna persona onesta può guardare alle politiche pro guerra degli ebrei senza vedere i pericoli insiti in questa politica sia per loro sia per noi". Lindbergh sosteneva che gli ebrei americani si battevano per i loro interessi, e che questi erano opposti a quelli dell’America: "Non possiamo permettere che le passioni naturali e i pregiudizi di altri popoli conducano il nostro paese alla distruzione". Allora come oggi si tratta della stessa tesi di un paese minacciato dall’influente lobby ebraica, dalla cabala neocon che avrebbe dirottato la politica estera americana per servire interessi sionisti. A raccontare tutto ciò, mercoledì sul New York Observer, è stato Ron Rosenbaum, raffinato scrittore, critico letterario e autore di una splendida inchiesta, "Il mistero Hitler". Rosenbaum è uno dei pochi ad aver letto il libro di Roth e, pur non rivelando quasi nulla, sostiene che il romanzo riaprirà un salutare dibattito storico sulle reali colpe di Lindbergh e sul ruolo che il suo antisemitismo ha giocato nella volontà di diventare il tirapiedi di Hitler. Per Rosenbaum "The Plot against America" è un monito sulla reale pericolosità dell’antisemitismo, come quello che viene fuori dal personaggio di "Operazione Shylock" che si batte per convincere gli ebrei a lasciare Israele per evitare un Secondo Olocausto in medio oriente.
11 settembre 1941
I riferimenti alla situazione che viviamo oggi sono evidenti. C’è sempre qualcuno, scrive Rosenbaum, che mette in guardia su "una sinistra cabala di ebrei americani". Lindbergh per esempio diceva che "i gruppi ebraici di questo paese, invece che agitarsi per la guerra, dovrebbero opporvisi in ogni modo possibile, viceversa sarebbero i primi a pagarne le conseguenze. Secondo Rosenbaum, la lezione di Lindbergh è questa: "Piuttosto che protestare, agli ebrei conviene stare zitti di fronte ad altri ebrei massacrati perché, se protestano, saranno massacrati anche loro". La colpa è sempre di una qualche lobby ebraica, ci si convince che basta metterla a tacere e il mondo non avrebbe più riflessi guerrafondai. Diceva Lindbergh: "Il pericolo più grande per questo paese sta nell’ampio potere e nell’influenza degli ebrei nel nostro cinema, nella nostra stampa, nella nostra radio, nel nostro governo". Oggi si dice che se non ci fossero stati gli ideologhi ebrei neocon, Bush non avrebbe liberato l’Iraq. Il libro di Roth, come già "Pastorale Americana" e "Ho sposato un comunista", aiuta a riflettere. Allora l’America riuscì a non sposarsi con quel fascista di Lindbergh. Poteva capitare, però. Per evitarlo in futuro, Roth pubblica in appendice il discorso di Lindbergh a Des Moines. La data non è una qualunque. L’anno è il 1941. Il mese è settembre. Il giorno è l’undici.