Camillo di Christian RoccaIl programma di Kerry/2 – (La politica economica e il protezionismo commerciale)

Lunedì i Democratici presenteranno a Boston la Piattaforma per l’America, il documento programmatico ufficiale che contiene i progetti di governo dell’Amministrazione Kerry. I pilastri della Platform sono tre, la politica estera e di sicurezza (su cui Il Foglio ha scritto ieri), i valori della società americana e le ricette economiche. "Offriamo all’America un nuovo progetto economico che metterà il lavoro al primo posto", si legge nel capitolo dedicato a "una economia forte e di sviluppo". Durante la presidenza di Bush sono stati persi circa due milioni di posti di lavoro, negli ultimi mesi c’è stata un’inversione di tendenza (secondo Bush dovuta al taglio delle tasse) ma il saldo resta così passivo che John Kerry ha gioco facile nel sottolineare come l’Amministrazione chiuda il proprio mandato con più posti di lavoro persi che creati. C’è solo un altro precedente così disastroso, ripete Kerry, ed è quello di Herbert Hoover, il presidente della Grande Depressione.
Un anno fa, prima delle complicazioni irachene poi avviate alla soluzione con il coinvolgimento Onu e la nomina del governo di Iyad Allawi, i Democratici si erano convinti di dover puntare sull’arrancante economia di Bush per vincere le elezioni del 2 novembre, specie negli Stati operai come l’Ohio dove la crisi economica ha polverizzato centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il presidente del Comitato nazionale del partito, Terry McAuliffe, sosteneva che la ricetta vincente sarebbe stata "lavoro, lavoro, lavoro". Se ai tempi di Clinton la risposta sbarazzina a chi chiedeva quale fosse la chiave del successo della sua presidenza era "it’s the economy, stupid", lo slogan dei Democratici di Kerry è diventato "it’s still the economy, stupid", "è ancora l’economia, stupido". Eppure un anno dopo lo schema è cambiato. L’economia va molto meglio, e ora è la guerra in Iraq il punto debole della presidenza Bush.
Le ricette economiche di Kerry, e del suo vice John Edwards, puntano a creare lavoro e a sostenere la formidabile classe media del paese, "la più forte che il mondo abbia mai conosciuto". La Piattaforma esclude che si possa tornare al glorioso passato in cui partito Democratico era sinomino di spesa pubblica: "Crediamo che sia il settore privato, non lo Stato, il motore della crescita economica e dei posti di lavoro. La responsabilità dello Stato è quella di creare un ambiente che promuova gli investimenti del settore privato, favorisca una competizione vigorosa e rafforzi le fondamenta di una economia innovativa".
Il motivo ricorrente del programma economico dei Democratici è quello delle "Due Americhe" da riunire, tema che è diventato il marchio di fabbrica di Edwards: l’America di chi ha, contrapposta all’America di chi non ha. Secondo i Democratici, che nella Platform usano toni meno populisti di quelli tipici di Edwards, le soluzioni offerte da Bush ampliano questa divisione perché favoriscono i privilegi alle opportunità, la ricchezza al lavoro duro, i trattamenti speciali per pochi fortunati alla maggioranza delle imprese e dei lavoratori. Per avvicinare le due Americhe, le ricette dei nuovi Democratici segnano una svolta di tipo protezionista rispetto alla vincente politica economica degli anni di Clinton. Il boom economico degli anni Novanta si deve anche alla precisa strategia clintoniana di cavalcare la globalizzazione, di far guidare all’America il processo di apertura e di liberalizzazione dei mercati mondiali.
La Platform di Kerry rivendica quell’eredità globalista, ma contemporaneamente la rigetta. In campagna elettorale Kerry ed Edwards si erano espressi contro il Nafta, il trattato di libero scambio tra i paesi del Nord America, giudicato uno degli elementi della crisi occupazionale americana. La Piattaforma spiega che il commercio dovrà essere non solo "libero" ma anche "equo" e finalizzato a creare occupazione in patria: "Applicheremo i nostri accordi commerciali ma con un vero progetto che includa una completa revisione di tutti gli accordi esistenti". L’idea è quella di riscrivere i trattati commerciali per evitare la penalizzazione dei posti di lavoro americani, al punto che la Piattaforma prevede una specie di esportazione della democrazia sindacale nel mondo: "Immediata inchiesta sugli abusi dei diritti dei lavoratori in Cina () e nuovi fondi per proteggere i diritti dei lavoratori e lo stop all’abuso del lavoro giovanile".
Uno dei primi provvedimenti dell’Amministrazione Kerry sarà quello di ritirare i vantaggi fiscali in favore delle imprese che creano posti di lavoro all’estero, accompagnato da incentivi alle società che invece investono e creano lavoro in America.
La politica fiscale, e in particolare il gigantesco taglio di tasse di Bush, è al centro del programma di governo di Kerry: "Dobbiamo restaurare un regime di responsabilità per il nostro bilancio oppure soffocheremo la prossima generazione di americani di classe media. Negli ultimi tre anni il surplus di bilancio è stato trasformato in deficit". Secondo i Democratici l’America non si può permettere questa indisciplina fiscale creata da Bush, per cui "diminuiremo i tagli fiscali per coloro che guadagnano più di 200 mila dollari e restaureremo le buone regole di budget che questa Amministrazione ha abbandonato". La scure dei Democratici si abbatterà anche sulle corporation che oggi, "grazie alle potenti lobby" al loro servizio, godono di una specie di "welfare fiscale" che gli consente di pagare imposte mai così basse. Aumenteranno i benefici fiscali per il 98% degli americani attraverso sgravi alle famiglie, in particolare sui costi universitari e per i figli. L’obiettivo è "espandere la classe media" e valorizzare l’America rurale e delle piccole città. "Ci sono ancora milioni di persone che pur lavorando a tempo pieno continuano a vivere in povertà. Offriremo loro una scala verso la classe media". I gradini di questa scala sono "l’aumento del minimo sindacale a 7 dollari" e benefici fiscali mirati. (2. continua)

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