Camillo di Christian RoccaKerry spiega come renderà l'America più forte (e con quali uomini)

Boston. Chiusa la convention con il discorso di accettazione della candidatura a presidente degli Stati Uniti, John Kerry ora è ufficialmente il concorrente di George W. Bush alle elezioni del 2 novembre. Insieme con John Edwards si propone come un’alternativa seria, competente, forte, unitaria e positiva all’America "divisiva" di Bush e Dick Cheney. Non importa che il terzo candidato, Ralph Nader, ancora ieri, abbia ripetuto che tra i due partiti non c’è differenza, che sono le due facce della stessa medaglia, entrambe succubi delle grandi corporation e della medesima sete di potere. Importa che i democratici usciti dal congresso questa volta credano davvero alle chance della propria squadra. "La convention è stata buona", concede Bill Kristol, direttore del Weekly Standard e neoconservatore doc. Al Foglio spiega che salvo qualche dettaglio e una certa predisposizione a restare vaghi e a non entrare nello specifico della lotta al terrorismo, Kerry e i suoi hanno detto le cose giuste da dire. E le hanno dette con il tono adatto. Edwards è stato molto chiaro quando ha avvertito i terroristi che non potranno scappare per sempre, che non potranno nascondersi a lungo perché "we will destroy you", vi distruggeremo. Resta da capire se gli americani giudicheranno credibili le capacità di Kerry e le sue promesse di costruire "un’America più forte".

Cominciano già, comunque, le indiscrezioni sulla squadra che Kerry porterà con sé alla Casa Bianca qualora vincesse a novembre. Ovviamente è prematuro, fin troppo. Ma nello specifico caso di Kerry il toto ministri non è soltanto un giochino dei giornali. Kerry, infatti, è accusato di "flip flopping", di avere cioè posizioni cangianti, di voler accontentare tutti e di non escludere mai nessuna alternativa o via d’uscita. Di fronte a queste critiche sarà decisivo conoscere la sua squadra, i nomi che andranno a occupare le caselle della sua Amministrazione. Da quei profili si potrà capire meglio se il Kerry presidente sarà più vicino al senatore che ha votato per la guerra in Iraq o al candidato che, inseguendo Howard Dean, non ha dato il suo voto agli 87 miliardi di dollari di finanziamento della missione irachena.
A Boston c’è la fila, ovviamente. Chi ha raccolto fondi per la campagna presidenziale si aspetta dalla vittoria di Kerry una ricompensa sotto forma di posti, ruoli, cariche, prebende. Il Four Seasons è il luogo da frequentare in questi giorni. I big del partito e i maggiori finanziatori stanno lì. Secondo il New York Times in albergo ci sarebbero almeno 500 persone pronte a ottenere uno dei 200 posti da ambasciatore subito disponibili. Sono pochi, ovviamente, quelli che avanzano direttamente la candidatura, perché sarebbe il modo più veloce per bruciarla, ma ci sono anche quelli che parlano, che si autocandidano per la sede di Londra oppure per il ministero del Tesoro o chi, più semplicemente, preferirebbe restare a casa, a Washington, con un bell’incarico al Dipartimento di Stato.

Bisogna accontentare tutti
Secondo il Christian Science Monitor, giornale di Boston, Kerry dovrà accontentare tutti i gruppi politici che lo sostengono: gli afroamericani, i vecchi liberal, i veterani di guerra, i centristi clintoniani, i funzionari e gli amici ventennali di Washington. Il senatore Joe Biden del Delaware, di grande esperienza e collega di Kerry nella Commissione per gli affari esteri, è uno cui guardare, in lizza per sostituire Colin Powell. Il più citato in realtà è Richard Holbrooke, ex ambasciatore di Bill Clinton all’Onu, architetto dell’intervento in Bosnia e possibile responsabile della ricostruzione dell’Iraq targata Kerry. Holbrooke è un multilateralista, ma anche un falco, convinto com’è che il compito dell’America sia quello di abbattere gli ostacoli che impediscono l’affermarsi della democrazia e dei diritti umani. I suoi avversari dicono che sia fin troppo falco per Kerry, ma oggi è comunque uno dei suoi consiglieri di politica estera. Sulla stessa linea c’è anche Bill Richardson, l’ispanico governatore del New Mexico. E’ stato il presidente di Freedom House, l’istituto fondato da Eleanor Roosevelt che si batte per la libertà nel mondo e che oggi va d’accordo con le politiche filodemocratiche dell’Amministrazione Bush. Richardson, però, è troppo legato al clan Clinton per poter aspirare a un ruolo di primissimo piano. Il consigliere per la Sicurezza nazionale, il posto di Condi Rice, potrebbe essere James Rubin, ex portavoce di Madeleine Albright, marito della star della Cnn, Christiane Amanpour, e, tra le altre cose, collaboratore del settimanale italiano Panorama.

(segue dalla pagina uno) Un ruolo centrale nella possibile Amministrazione Kerry ce l’avrà certamente Randy Beers, l’uomo che nel 2003 Bush nominò come capo dell’antiterrorismo al posto di Richard Clarke. Dopo pochi mesi Beers si dimise per andare a lavorare con Kerry, del quale oggi è con James Rubin e Richard Holbrooke, il principale consigliere di politica estera. Il presidente Kerry potrebbe scegliere il suo vecchio amico Richard Gephardt, uno dei beniamini del partito democratico, come ministro del Lavoro. Gephardt non ha la stessa politica fiscale di Kerry ed Edwards, perché cancellerebbe, con un solo tratto di penna, l’intero taglio di tasse di Bush. Far trapelare oggi il suo nome non è un buon segnale, sebbene i suoi stretti rapporti con i sindacati possano far guadagnare punti altrove. Gephardt, peraltro, fu accusato da Howard Dean di aver aiutato sottobanco Kerry a vincere in Iowa, nello Stato dove iniziò il crollo del mito Dean e la scalata del senatore del Massachusetts.
Il ruolo più delicato sarà quello di ministro del Tesoro. L’obiettivo è quello di trovare il nuovo Robert Rubin, l’architetto del successo economico di Clinton. In prima fila c’è proprio il vice di Rubin, il clintoniano Roger Altman, banchiere di New York, che altri vedono in corsa anche come capo dello staff di Kerry. Un uomo di Wall Street, dunque, per lanciare un segnale ai mercati. Si parla anche dell’ex giornalista finanziario del New York Times, Steven Rattner, e di Jim Johnson, il business man al quale Kerry ha affidato il compito di scegliere il vicepresidente. In lizza c’è anche l’ex consigliera economica di Clinton, Laura D’Andrea Tyson, oggi rettore della London Business School. La rivista Slate avanza anche il nome di Warren Buffett, il secondo uomo più ricco d’America, oggi consulente economico di Arnold Schwarzenegger.
Kerry potrà pescare tra i suoi amici e vicini di casa che vivono e insegnano ad Harvard, la più prestigiosa università d’America. Il New York Observer ha scritto che in caso di vittoria di Kerry, la popolazione di Cambridge, la città di Harvard, diminuirebbe del 23 per cento, tanti sarebbero quelli che seguirebbero il senatore del Massachusetts a Washington.
Al Pentagono c’è un problema. Kerry avrebbe voluto nominare John McCain ma il senatore repubblicano si è schierato apertamente con Bush. L’idea è quella di nominare qualcuno vicino al partito avversario, per spirito bipartisan e per mostrare subito di non essere debole sui temi della difesa e della sicurezza. La stessa cosa fecero sia John Kennedy, il quale scelse il presidente della Ford Robert McNamara, sia Bill Clinton che chiamò il repubblicano William Cohen. Oggi Cohen potrebbe tornare al suo vecchio posto. Un altro papabile repubblicano è il senatore della Virginia John Warner. C’è anche l’ex repubblicano Wesley Clark, oggi con i democratici, ma di solito un ex generale non va a guidare il Pentagono per mantenere una certa separazione tra l’amministrazione civile e quella militare. Se la scelta restasse in campo democratico il favorito è il senatore membro della commissione Difesa, Carl Levin.
Howard Dean, di professione medico, potrebbe essere il nuovo ministro della Sanità, ma dovrà vedersela con l’ex governatrice del New Hampshire, Jeanne Shaheen. Il procuratore generale di New York, Eliot Spitzer, potrebbe andare a sostituire John Ashcroft alla Giustizia, ma in corsa c’è anche Jamie Gorelick, ai tempi di Clinton vice di Janet Reno.
C’è chi giura che tornerà in pista anche Gary Hart, grande amico di Kerry ed ex candidato presidente costretto a ritirarsi per uno scandalo sessuale. L’ex governatore della Florida Bob Graham, una colomba in politica estera, potrebbe essere il nuovo ambasciatore all’Onu. Non ci sarà posto, invece, per Joe Wilson, l’ex ambasciatore americano in Niger, noto per la sua durissima battaglia contro la Casa Bianca. Nei mesi scorsi Wilson aveva svelato la falsità contenuta nel discorso sullo Stato dell’Unione riguardo all’uranio che Saddam avrebbe acquistato dal Niger. Le parole di Wilson sono state utilizzate a piene mani dalla propaganda dei democratici per dimostrare gli inganni di Bush e dei suoi. Il team Kerry faceva sapere in giro che Wilson era uno dei loro consiglieri di politica estera, ma ora che la Commissione sull’11 settembre ha stabilito, con prove, che Saddam aveva davvero tentato di acquistare uranio dal Niger, il nome di Wilson è addirittura scomparso dal sito johnkerry.com.