Caro Christian, la storia del nuovo disco dei Tears for fears è notevole. Riassumo: dopo essere stati uno dei simboli della musica inglese degli anni Ottanta, aver fatto tre ottimi dischi e un superbotto americano con Shout, i due Tears for Fears litigano e si separano malamente. Poi, l’anno scorso, annunciano un nuovo disco assieme, dopo quindici anni: prima per l’autunno, poi per primavera, poi per maggio. A maggio escono le recensioni in tutto il mondo, le canzoni si trovano su internet, le radio ricevono il promo del singolo e cominciano a trasmetterlo. Però adesso siamo a giugno e il disco non è nei negozi, e nessuno ne sa niente. Pare ci sia stata una questione “legale”, o che ha a che fare con il “management”, ma niente di più chiaro. Il disco, tra l’altro, non è niente male: molto tearsforfears.
Caro Luca, mi interrogo da settimane su uno dei miei sex symbol di riferimento: Alanis Morissette. La musica del suo ultimo disco è come sempre uguale, e vabbè. I testi, però, sono apparentemente diversi. Fin qui lei interpretava la ragazzina innamorata e perversa, trattata male dai suoi malvagi e insensibili fidanzati fedigrafi. Una sfigata, insomma. Ma nuovo disco, nuova vita. Il cd, infatti, inizia con una specie seduta psicologica collettiva, tipo alcolisti anonimi, con cui Alanis stabilisce il percorso, gli otto facili passi del titolo, per riottenere fiducia in se stessa. Con la seconda canzone spiega che l’unico modo di uscirne è far scorrere le cose, passarci sopra. Alla terza dice che è meglio raccontarsi delle scuse tipo “sono troppo intelligente, ecco perché lui non mi capisce”. Alla quarta il suo fidanzato gliene fa di tutti i colori, ma lei dice che in fondo non è importante, che non gliene frega niente, anche se nel titolo ammette che “tuttavia protesto troppo”. Il cedimento sta arrivando. Alla quinta canzone siamo già a “you are a vision who lives by the signals of stomach”, cioè alle farfalle nello stomaco. Alla sesta è già andata, comincia ad addossarsi la colpa: “Non è tutta colpa mia”. Alle settima è in preda al delirio e vorrebbe “correre nuda per strada”. All’ottava si fa prendere da “questa invidia” per quell’altra che, evidentemente, le ha rubato il fidanzato. Alla nona, ha rotto gli argini e torna come ai bei tempi dicendo che sarà “servile e senza spina dorsale”, che “leccherà i suoi stivali”, che non esprimerà “nessuna opinione” e che resterà “in silenzio”. Non è meravigliosa?
Caro Christian, isn’t it ironic? Per risponderti mi ero preparato bene sull’Australia, poi mi sono ricordato che Alanis è canadese. Ma ormai il lavoro è fatto: ho letto questo bel libro sull’Australia di John Pilger, quel giornalista estremista di sinistra che tu legittimamente mal tolleri. Ma qui non parla di politica, racconta l’Australia (oddio, non è che parli solo dei capoluoghi e degli affluenti). Mi ha fatto venire voglia di andare, quest’estate, ma è venuto fuori che down under fa freddino, d’estate. E andare a vedere Ayers Rock e la barriera corallina senza scendere fino a Sydney, mi pare una fesseria. Se ne parla a capodanno.
Caro Luca, sono australiani gli Ac/Dc e gli Inxs, ma a me piacevano i Men at work, quel gruppo tipo Dire Straits però sfigati che cantava “Who can it be now?”, e i Church, quel gruppo tipo Cure però sfigati che cantava “Under the milky way”. Vabbé, mi sento come quei sessantottini che stanno sempre lì a rimembrare il passato. Io, però, nel 1968, ci sono nato. Ed è stato un bel nascere perché tutti parlano sempre di chissà quali casini che sarebbero scoppiati per segnalare il mio avvento. Figurati che nel mio caso c’è pure stato il terremoto del Belice. (Noi sessantottini di nascita siamo più megalomani di quelli di professione). Ora è pure uscito un enorme libro scritto da un giornalista americano pazzo, Mark Kurlansky, uno che ha già fatto una storia del merluzzo, sì del merluzzo, e una storia del sale, sì del sale. Ha provato tutti i tipi di sale del mondo, pare che il migliore sia prodotto in un’isoletta del Giappone. Per scrivere il libro sul 68, s’è letto la collezione annuale di tre quotidiani americani, due francesi, due tedeschi più tre o quattro settimanali. Pare non abbia consultato il Giornale di Sicilia.
Caro Christian, e i Bee Gees dove li metti? A te l’America ti obnubila.
Caro Luca, a Washington non si parla d’altro che di una gaffe di Condoleezza Rice. A una cena ha detto questa frase: “Come stavo dicendo a mio marit…”. Poi si è fermata, e si è corretta: “Come stavo dicendo al presidente Bush”. Nessuno crede davvero che Bush e Rice stiano insieme, né che lei abbia un marito segreto. Ora che ripassi sulla copertina di Novella, vedi saperne di più.