Camillo di Christian RoccaUn'America normale (Boston, primo giorno di convention democratica)

Boston. John Kerry vuole che l’America torni a essere un "paese normale", senza gli estremismi dell’era Bush. E’ questo il messaggio centrale della sua campagna elettorale che ieri si è aperta con i palloncini, i lustrini, le vocianti delegazioni degli Stati, le proteste, i cortei, le feste, le mille luci e tutto quanto fa della politica e della democrazia americane uno spettacolo imperdibile.

Al Fleet Center di Boston, la nuova arena dei Celtics del basket, a pochi passi dalla casa del senatore-candidato che si trova nel quartiere chic di Beacon Hill, già le prime ore congressuali hanno mostrato che cosa Kerry voglia ottenere da questo evento apparentemente dall’esito scontato. Giovedì sera il senatore accetterà la candidatura, eppure questi quattro giorni sono decisivi nella corsa alla Casa Bianca perché i democratici dovranno riuscire a spiegare agli elettori chi è veramente John Kerry e che cosa davvero intende fare per normalizzare un paese governato da un’Amministrazione giudicata radicale ed estremista.
L’ultima definizione sui bushiani, coniata da un ex ministro di Clinton, spiega infatti come la Casa Bianca sia stata dirottata non dai soliti neocon, ma da un gruppo di "radcons", di radicali conservatori. C’è più radicalismo che conservatorismo nell’azione di governo di Bush: tutto è estremo, ideologico, bianco o nero, dalle politiche tipicamente conservatrici (aborto, ricerca sugli embrioni, aiuti alle associazioni religiose, divieto di nozze gay, riduzione fiscale) fino alle scelte di segno opposto, liberal, che nessuno si sarebbe mai aspettato da uno come Bush (democratizzazione del medio oriente, espansione dell’assistenza sanitaria, aumento della spesa pubblica, tariffe sull’acciaio, programmi per i ragazzi rimasti indietro con gli studi). A questo estremismo, Kerry ieri ha tentato di contrapporre una visione alternativa, guidata da una forza tranquilla e da un politico serio, abile e preparato che senza scossoni né isterie riuscirà a far "tornare l’America a essere l’America".
A Kerry la convention serve anche per sbarazzarsi dell’aura di freddo e distaccato patrizio del Massachusetts, sempre pronto a raccontare se stesso non attraverso la sua vita, i suoi sentimenti e le sue emozioni, ma con definizioni burocratiche che rimandano a quell’emendamento che ha votato o a quel progetto di legge che ha presentato. Kerry ha bisogno di farsi conoscere personalmente, di far capire che cosa pensa, di dire chiaramente quale sia la sua posizione, dicono fino allo sfinimento gli analisti in televisione e sui giornali. Fin qui ha potuto giovarsi dell’odio anti Bush di quella metà di America che voterà "anybody but Bush", cioè chiunque tranne Bush, ma ora che ci si avvicina al voto quest’immagine da "candidato meno peggio" non basta più. Kerry è stato accusato di flip flopping, cioè di cambiare spesso idea, ma in realtà era tattica, il tentativo fin qui riuscito di tenere tutto insieme, di non scontentare nessuno, di essere a favore e contro la guerra, di mostrarsi sia come l’opposto di Bush sia come uno che farebbe le stesse cose di Bush ma molto meglio. La convention di Boston è lo strumento per passare dalla tattica alla strategia, per convincere gli americani che Kerry non è un politicante che prende posizione a seconda di chi si trova di fronte, ma un leader con una visione e un’idea di America alternativa a quella di Bush. L’obiettivo, percepibile nelle facce di ogni delegato, è quello di spiegare per che cosa Kerry si batterà, quali sono i suoi valori, le cose in cui crede.

La tattica dei ricordi personali
In questi giorni conoscerete meglio il prossimo presidente degli Stati Uniti, ha spiegato Terry McAuliffe aprendo la sessione principale della prima giornata, quella dedicata ai discorsi, iniziata nel pomeriggio e chiusa alla undici con gli interventi di Al Gore, Jimmy Carter, Hillary e, infine, di Bill Clinton. Nelle parole di Kerry cominciano infatti ad affiorare ricordi personali, riferimenti ai genitori, alla famiglia, mentre sugli schermi del Fleet Center scorre il film della sua vita, montato ad arte da professionisti di Hollywood e trasmesso dai network. La macchina di propaganda democratica dovrà anche smontare l’immagine fin troppo liberal che Kerry si è costruito nei suoi vent’anni al Senato, tanto che secondo il National Journal è il più liberal tra i senatori, seguito da Ted Kennedy e, al quarto posto, da John Edwards. Liberal è una etichetta politica che per una buona parte di americani è peggiore di un insulto personale, e aver scelto la patria del liberalismo, Boston, come sede della convention non aiuta i democratici a scolorire quell’immagine. (segue a pagina due)
(continua da pagina uno) John Kerry deve stare attento a non scolorire troppo la sua immagine di "Massachusetts liberal", perché rischia di perdere voti alla sua sinistra, dove c’è Ralph Nader pronto a catturare i delusi. Il candidato indipendente, la cui sola presenza nel 2000 costò la vittoria ad Al Gore, non ha nessuna intenzione di cedere alle continue richieste di farsi da parte per evitare che si ripeta la tragedia di quattro anni fa. Domenica, sul Boston Globe, ha scritto un’intera pagina per dire ad alta voce le "dodici cose che non sentirete alla convention dei democratici", i dodici argomenti tabù che Kerry evita di affrontare per non apparire troppo di sinistra e non alienarsi i voti indipendenti e dei delusi da Bush. Nader sostiene che tra i due partiti, tra i repubblicani e i democratici, le differenze siano minime, sono entrambi dei giocattolini in mano al big business. Andrew Sullivan, opinionista conservatore, domenica sul Sunday Times di Londra ha di fatto dato ragione a Nader, spiegando come orami sia Kerry il vero candidato conservatore e non Bush (vedi sopra, ndr), specie se si confrontano le politiche sul deficit, sul medio oriente e sui gay dei due candidati. Sullivan aggiunge che lui, come tanti altri conservatori, si sta "lentamente spostando verso Kerry" in reazione all’estremismo radicale delle posizioni di Bush. Kerry ha aperto la convention in una situazione ideale, in vantaggio su Bush. Bisogna risalire alla candidatura di Ronald Reagan del 1980 per trovare uno sfidante che abbia iniziato la convention appaiato o con qualche punto in più rispetto al presidente. L’ultima scossa alla sua campagna prima di Boston era stata data dalla scelta di John Edwards come vice, ma è durata poco e non è stata così forte come si sperava. Gli analisti sostengono che bisognerà guardare i sondaggi alla fine di questi quattro giorni, cioè al culmine dell’esposizione mediatica di Kerry, per capire come andrà a finire il 2 novembre. Kerry non deve commettere errori in queste ore bostoniane. Ogni parola pronunciata è stata studiata a tavolino, ogni immagine che appare sullo schermo del Fleet Center è stata scelta con cura, ogni virgola dei discorsi anche dagli oratori più illustri è stata vivisezionata dallo staff di Kerry per evitare che il messaggio possa risultare confuso o contraddittorio. Matthew Dowd, capo per le strategie della campagna di Bush, dice che se lo sfidante uscirà da Boston con un vantaggio sul presidente inferiore ai 15 punti, saranno guai per lui. Subito dopo i riflettori si sposteranno sulla convention repubblicana e a Kerry resterebbe soltanto la ribalta dei dibattiti televisivi per recuperare terreno.

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