Milano. Avviso ai sostenitori europei di John Kerry: nel caso diventasse presidente sarebbero guai. Alla convention di Boston i democratici hanno detto chiaramente che, senza George W. Bush alla Casa Bianca, gli alleati non avranno più alcuna scusa per restare fuori dall’Iraq. Martedì è arrivata la brutale conferma. Al Los Angeles Times Kerry ha spiegato che il suo obiettivo da presidente, entro quattro anni, sarà quello di sostituire le truppe americane in Iraq con quelle degli alleati stranieri, i quali si dovranno accollare costi e responsabilità. E’ questa la sua strategia d’uscita: far rischiare la pelle a chi fin qui è rimasto alla finestra. Forse a quel punto qualcuno rimpiangerà Bush, un presidente che almeno le guerre dell’America le ha fatte combattere agli americani e non a chi era contrario. Kerry non s’è neppure pentito del suo voto favorevole all’intervento in Iraq. Per bocca del suo portavoce ha detto che "rimuovere Saddam non è stato un errore".
Gli analisti aspettavano di leggere i sondaggi per valutare il "bounce", il rimbalzo, cioè l’effetto positivo in termini di intenzioni di voto popolare che la convention di partito riesce a garantire ai candidati alla Casa Bianca. Il presidente del Comitato nazionale del partito, Terry McAuliffe, aveva previsto un rimbalzo di 8 o 12 punti per il dopo Boston. Ma non è stato così. Lunedì sono usciti cinque nuovi sondaggi. Il primo, il più clamoroso, è stato condotto dalla Gallup per conto della Cnn e di Usa Today. Secondo questa indagine, la convention di Boston ha fatto perdere a Kerry il 2 per cento dei voti, mentre Bush ha conquistato 5 punti rispetto all’analogo sondaggio precedente la convention. Neanche i repubblicani osavano sperare tanto. Prima di Boston gli uomini del partito di Bush temevano l’effetto traino e, per mettere le mani avanti, dicevano che Kerry avrebbe dovuto sperare in un rimbalzo superiore ai 15 punti per cantare vittoria. La stima si basava sui precedenti: negli ultimi quarant’anni soltanto George McGovern, nel 1972, non era riuscito a guadagnare punti con la convention e il risultato finale fu infatti disastroso. Tutti gli altri candidati, compresi gli sconfitti Michael Dukakis, Walter Mondale e Bob Dole, avevano ottenuto balzi del 9 o del 10 per cento per effetto dell’esposizione mediatica. Per Kerry è un precedente pericoloso, così come è indigesto ma qui siamo nel campo della scaramanzia l’episodio dei palloncini che al termine del suo discorso di giovedì sono scesi dal tetto del Fleet Center con un ritardo tale da non essere entrati nella diretta televisiva dei network. Successe anche a Jimmy Carter, nel 1980, e fu il presagio della clamorosa sconfitta subita da Ronald Reagan.
In una gara a due, secondo la Gallup, Bush sarebbe in vantaggio 50 a 47, mentre sarebbe un pareggio, 47 a 47, se si considerano solo gli elettori registrati ai partiti (ma anche tra costoro Bush ha guadagnato punti). Con la presenza del candidato indipendente Ralph Nader, il margine di vantaggio di Bush diventa più ampio, 51 a 45, mentre un paio di giorni prima della convention il risultato era 47 a 46 per Kerry. Gli altri quattro sondaggi sono più favorevoli al senatore democratico, ma nessuno registra un serio "effetto convention". Kerry è in testa 50 a 44 per Abc/Washington Post, con 4 punti di rimbalzo dovuti alla convention. Per l’American Research Group, Kerry ha guadagnato soltanto due punti rispetto a luglio. Un "baby bounce", lo ha definito Newsweek, il cui sondaggio dà Kerry in vantaggio 49 a 42, con un rimbalzo di 4 punti, il più modesto nella storia dei sondaggi del settimanale. Secondo l’istituto Rasmussen, Kerry oggi è in vantaggio di un solo punto, mentre prima della convention era avanti di due punti.
I democratici si difendono e spiegano che questa volta l’America è troppo polarizzata e divisa per poter sperare in un rimbalzo. Di fatto, dicono, non c’è più nessuno da convincere. A fine mese, con la convention dei repubblicani, vedremo se la tesi sarà confermata. "Non mi interessano i sondaggi ha detto Kerry se li avessi seguiti mi sarei dovuto ritirare a dicembre". Lo sfidante, quindi, va avanti. Secondo le rilevazioni è la parte economica e sociale del suo programma a essere maggiormente apprezzata dagli elettori, ma nell’era post 11 settembre il presidente deve essere per prima cosa un comandante in capo che non esita a usare i mezzi necessari per difendere il popolo e gli interessi americani. Kerry è costretto, dunque, a mostrarsi duro e guerriero, ma così non fa altro che giocare sul campo di Bush.