John Kerry ha già i suoi di problemi, ché certo farebbe volentieri a meno degli aiutini di Repubblica (Rep.), il quotidiano di Largo Fochetti in Roma. Accusato di essere un flip flopper, una banderuola, uno che cambia idea a seconda dell’interlocutore che si trova di fronte, Kerry su una cosa è sempre stato molto chiaro: se fosse lui il presidente non ritirerebbe le truppe dall’Iraq, piuttosto l’impegno aumenterebbe. Il candidato lo ha detto in tutti i modi possibili, spiegando ogni volta che l’errore di Bush non è stato quello di rimuovere Saddam, ma di averlo tolto dai piedi con pochi soldati. Più truppe, quindi, non meno truppe: è questa la sua linea, una delle poche che non s’è mai rimangiato. Quando José Luis Rodriguez Zapatero è stato eletto premier in Spagna, Kerry gli ha chiesto di non ritirare i militari spagnoli. Alla convention di Boston, Kerry ha ripetuto che il suo primo obiettivo presidenziale sarà convincere gli alleati a inviare in medio oriente consistenti contingenti militari per rafforzare l’impegno e condividere con l’America il peso, il rischio e il costo della transizione irachena alla democrazia. Solo in quel caso Kerry farebbe tornare parte dei suoi soldati a casa. Non ritirandoli, ma sostituendoli.
E invece ieri è arrivata Rep. a spiegare fin dal titolo "La svolta di Kerry sull’Iraq: le truppe a casa con onore". E’ un falso, una patacca, un raggiro, una presa per i fondelli. Lo stesso giorno, per dire, Richard Holbrooke spiegava sul Washington Post che "Kerry ha resistito alla pressione della sinistra di fissare una data certa per il ritiro perché sa che le conseguenze sarebbero catastrofiche". Il giornalismo creativo dall’America non è una novità in casa republicones (con l’eccezione delle serie corrispondenze di Alberto Flores D’Arcais). Questa volta la bufala sulla svolta di Kerry coincide con quell’adesivo che a Boston un illustre republicones zuccopycat teneva sul bavero. Diceva: "End the occupation", fine dell’occupazione. Provino con "end the fiction".
6 Agosto 2004