Camillo di Christian RoccaLa Quarta guerra mondiale – Norman Podhoretz

Prendete nota: "La Quarta guerra mondiale: come è cominciata, che cosa significa e perché dobbiamo vincerla", è il titolo del saggio che troverete a puntate, oggi e la settimana prossima, sul Foglio. Si tratta di un formidabile testo scritto da un letterato e polemista con il dna della sinistra newyorchese, ma che alla fine degli anni 70 diventò uno dei fondatori del movimento neoconservatore: Norman Podhoretz. Il saggio uscirà a settembre sulla rivista americana Commentary, ma Il Foglio lo pubblica a partire da oggi in italiano, in esclusiva e in anteprima.

Fidatevi, è un testo fondamentale per ripercorrere i grandi temi di dibattito culturale che nei tre anni dall’11 settembre 2001 a oggi questo piccolo quotidiano ha riportato ai suoi lettori. Così come due anni fa il libro di Robert Kagan sull’America e l’Europa (altro testo scoperto e pubblicato dal Foglio) fu il canovaccio del dibattito sulla frattura dei rapporti transatlantici, questo saggio di Podhoretz spiega con eleganza, chiarezza e senza fronzoli il mondo post 11 settembre, la guerra che il totalitarismo islamo-fascista ci ha dichiarato, i pericoli che stiamo correndo, la lezione del passato, la battaglia culturale e le sfide che siamo costretti ad affrontare per mantenere le nostre libertà. Un testo che è soprattutto il modo migliore, nei giorni della convention repubblicana di New York, per provare a capire sine ira ac studio l’essenza della presidenza di George W. Bush, la sua politica, l’intervento in Afghanistan e poi in Iraq, la dottrina del primo colpo, la rivoluzione del regime change e l’impegno generazionale per la democrazia e la libertà in medio oriente. Un’alternativa seria e argomentata alla goliardia del Gabibbo Michael Moore, inopinatamente assurta da intrattenimento di qualità ad analisi politica e culturale.
Norman Podhoretz rivisita gli eventi, le questioni e le politiche che dalla seconda metà del secolo scorso hanno prima condotto all’11 settembre 2001 e poi creato le basi per la cosiddetta dottrina Bush. L’autore, oggi 74enne, è stato una delle colonne intellettuali della sinistra newyorchese degli anni 60 e 70, amico fraterno delle Susan Sontag, dei Norman Mailer e dei guru della controcultura leftist che poi lo ripudiarono quando il suo giornale, Commentary, si fece baluardo dei valori liberali e americani che l’antiamericanismo made in Usa voleva abbattere (a questo percorso Podhoretz ha dedicato "Making it", "Ex Friends" e "Breaking Ranks"). Così come i suoi "ex amici", anche Podhoretz era contrario alla guerra in Vietnam, ma non ha mai smesso di pensare che l’America fosse la nuova Gerusalemme, la terra promessa delle libertà e delle opportunità. "My love affair with America", la mia storia d’amore con l’America, è uno dei suoi libri più famosi, nel quale con stile personale ma senza mai perdere di vista il fuoco della questione, Podhoretz spiega la grandezza del sogno americano che lui stesso ha esaudito da figlio d’immigrati ebrei in fuga dall’Europa. Nato a Brooklyn in povertà, con il padre che faceva il lattaio, Podhoretz da adolescente faceva addirittura fatica a parlare inglese. Poi, invece, l’aristocratica Columbia, due anni di militare nella Germania post nazista, infine polemista di pregio fin da quando prese di mira i suoi amici beatniks che accusava di nichilismo e di barbarie bohémienne. E, ancora, fustigatore delle azioni positive, cioè delle discriminazioni in favore delle minoranze, anticomunista rigoroso (ha scritto "The present danger") e, infine, esegeta dei Profeti.

Gli islamofascisti ci odiano perché esistiamo
Alla fine degli anni 70, quando la convivenza con i liberal che tradivano il liberalismo americano divenne insopportabile, Podhoretz, Irving Kristol e altri membri di "The Family", come veniva chiamata la famiglia intellettuale ebraica newyorchese, si allontanarono dalla sinistra e abbracciarono la rivoluzione reaganiana. Commentary diventò la palestra culturale dell’Amministrazione Reagan, tanto che il presidente attore nominò Jeane Kirkpatrick come ambasciatrice all’Onu, subito dopo aver letto sulla rivista un suo articolo che invitava a sfidare le dittature comuniste. Eppure in questo saggio sul mondo post 11 settembre, Podhoretz fa a pezzi anche il vincitore della Guerra fredda Reagan, e con lui Nixon, Carter e Clinton, tutti colpevoli di aver sottovalutato il pericolo fondamentalista arabo e islamico. I segnali dell’odio antiamericano c’erano tutti, spiega Podhoretz, solo che nessuno ha voluto vederli né affrontarli come meritavano. Il danno è stato doppio, perché Osama bin Laden si è convinto che l’America non avrebbe mai più superato la sindrome disfattista del Vietnam, che l’America fosse una tigre di carta. La dottrina Bush ha individuato il pericolo e tracciato una strada, così come capitò nel secondo dopoguerra con la dottrina Truman, prima sbeffeggiata e osteggiata poi pedissequamente rispettata dagli avversari di destra e di sinistra. La stessa cosa, argomenta Podhoretz, succederebbe con la dottrina Bush se John Kerry entrasse alla Casa Bianca. Ché non c’è alternativa. Gli islamofascisti non si placherebbero nemmeno se il presidente fosse Michael Moore, perché non ci odiano per quello che facciamo né per come ci comportiamo, ci odiano perché esistiamo. (negli inserti II e III)

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