Copie della Platform, del programma di governo di Bush per i prossimi quattro anni, sono state distribuite ai delegati della convention che comincia lunedì. Il New York Times è riuscito a sbirciarne una e ha svelato che una buona metà della Platfrom è dedicata a una sicurezza nazionale "segnata dalla determinazione ad affrontare le nuove minacce, non a ignorarle né ad aspettare le tragedie future", e a una politica estera che si basa su "un rinnovato impegno per costruire un futuro di speranza per i paesi dove oggi questa speranza non c’è". Sul fronte interno il testo spiega nel dettaglio l’idea di trasformare l’America in una democrazia di proprietari, nella quale i cittadini possano avere la libertà di decidere come investire la fetta del proprio salario destinata alla pensione. Confermato il progetto di legalizzare gran parte degli immigrati clandestini, un’idea che non piace alla base tradizionalista del partito, ma che aiuta a corteggiare l’elettorato ispanico. Il documento dei repubblicani mantiene la posizione antiabortista e ribadisce il sostegno all’emendamento costituzionale che vuole proteggere il matrimonio eterosessuale, cioè "l’istituzione più fondamentale della nostra civiltà".
"Libertà vuol dire libertà per tutti", ha detto martedì sera durante un comizio a Davenport, Iowa, Dick Cheney. Il vicepresidente, per una volta, non si riferiva ai popoli del medio oriente afflitti dalla tirannia, ma ai gay. A una donna che gli aveva chiesto che cosa pensasse del matrimonio tra omosessuali, Cheney ha risposto così: "Mia moglie Lynne e io abbiamo una figlia gay, quindi si tratta di una questione che la mia famiglia conosce bene. In generale credo che libertà voglia dire libertà per tutti. Le persone dovrebbero essere libere di intraprendere qualsiasi relazione vogliano avere". Cheney ha ribadito la sua idea che, peraltro, almeno di recente, è condivisa da John Kerry: il matrimonio è materia che riguarda i Parlamenti dei singoli Stati, non il governo centrale né, tantomeno, quei tribunali che "hanno preso decisioni che spettano invece al popolo".
Alla fine della convention non ci sarà bounce, rimbalzo nei sondaggi, neanche per Bush. O, se ci sarà, non supererà il 4 per cento. Lo dicono gli stessi analisti della campagna presidenziale che a fine luglio avevano esultato per lo scarso effetto positivo che la convention democratica di Boston aveva garantito a John Kerry. La spiegazione è simile a quella che allora diedero gli analisti dello sfidante: l’elettorato è già diviso a metà, gli indecisi sono pochissimi. Ma saranno decisivi.
Anything but the Park, tutto tranne il Parco. La città di New York, anche con i suoi organi giudiziari, continua a negare il permesso agli anti Bush di concludere a Central Park la grande manifestazione di domenica. Gli organizzatori continuano a rifiutare il percorso alternativo, cioè la superstrada che scorre sulla costa ovest di Manhattan, lungo il fiume Hudson.
In vista della convention repubblicana sulle riviste politiche e in libreria si è aperto un gran dibattito sull’attualità e sul futuro del movimento conservatore americano. Ha cominciato Francis Fukuyama, il quale su National Interest ha smontato le tesi di politica estera dei suoi amici neoconservatori. E’ già prevista una risposta del neocon Charles Krauthammer, mentre il paleocon, quasi reazionario, Pat Buchanan, sta per mandare in libreria un saggio sugli errori commessi dalla destra di Bush ("Where the Right Went Wrong: How Neoconservatives Subverted the Reagan Revolution and Hijacked the Bush Presidency), nel quale si spiega come i neoconservatori siano tutto tranne che conservatori, piuttosto agenti doppi della sinistra, figli della "rivoluzione di McGovern", nonché "impostori e opportunisti" pronti a passare con Kerry.
Alla convention la lotta tra le varie anime del partito ha un obiettivo preciso: il 2008. Infatti, comunque vada a finire a novembre, è certo che alle elezioni del 2008 Bush non parteciperà, così come nessuno crede che Dick Cheney possa aspirare alla nomination per la Casa Bianca. Così i riflettori e le dirette televisive trasformeranno il palco del Madison Square Garden nell’occasione principale per mettersi in mostra in vista del 2008. In prima fila ci sono i repubblicani indipendenti John McCain, Rudy Giuliani e il governatore di New York George Pataki, molto popolari ma privi degli agganci giusti dentro il partito. C’è, ovviamente, anche il fratello di Bush, Jeb, governatore della Florida. Nessuno di loro appartiene al fronte tradizionale e più conservatore del partito, il quale punta invece sul pio e devoto capo dei senatori repubblicani a Washington, Bill Frist, un medico al cui confronto Bush è un libertino. A Washington si dice che Karl Rove abbia già deciso di puntare su di lui. Ieri, intanto, con un colpo a sorpresa, Frist ha scritto a quattro mani un editoriale sul Washington Post sulla riforma del sistema sanitario. Le altre due mani erano della paladina liberal di questi temi, l’odiata Hillary Clinton, cioè la possibile rivale di Frist nel 2008.