Camillo di Christian RoccaBias, italian style

Domandina a risposta multipla: qual è la coppia di direttori di giornale che non ha chiesto scusa né rettificato né tantomeno si è dimessa dopo essere stata colta con la mano nella marmellata del pregiudizio di sinistra? a) il direttore e il presidente della Bbc dopo la falsa accusa a Tony Blair di aver esagerato la minaccia di Saddam; b) il direttore e il vice del New York Times dopo aver protetto un cronista falsario di pelle nera allo scopo di evitare che la colpa ricadesse sulla legge che favorisce le minoranze etniche; c) Dan Rather e la Cbs dopo aver trasmesso falsi documenti contro Bush; d) i vertici del Daily Mirror dopo aver pubblicato una foto taroccata di torture inglesi in Iraq; e) la direttora dell’Espresso per aver pubblicato le medesime foto false del Mirror (quando si sapeva già che erano una bufala) e il direttore di Repubblica per il caso di Marco Lupis.

Non è difficile rispondere, in fondo "simmo ‘e Napule, paisà". Anche il nostro giornalismo è vessato dallo stesso pregiudizio di sinistra del resto della stampa occidentale, solo che altrove sono più corretti, ammettono gli errori, chiedono scusa, chi sbaglia paga e distinguono chiaramente tra articoli di cronaca e commenti. In Italia no. Tutto è ammesso, seguono tarallucci e vino.
C’è il modello di Repubblica ideato da Eugenio Scalfari, il quale ha ribaltato lo stanco slogan "i fatti separati dalle opinioni" di Lamberto Sechi, per sostituirlo con un nuovo metodo che ha fatto scuola: i fatti plagiati dalle opinioni. Il metodo ha preso piede ovunque, specie se l’argomento è George Bush, con punte ormai incontrollabili anche sul Corriere della Sera.
Il migliore interprete del metodo Rep. applicato agli Stati Uniti è Vittorio Zucconi, formidabile cantore dell’America che ogni lettore italiano di sinistra vuole sentirsi raccontare. Scrive bene Zuc, anzi benissimo, scalda i cuori e le menti dei compagni con le sue immaginifiche figure retoriche applicate allo yankee di turno, ma se un lettore di Rep. vuole notizie sull’America deve andare a cercarle nelle pagine interne sotto la firma di Alberto Flores D’Arcais. Non importa che cosa scriva Flores, non importa che cosa raccontino cronisti più attendibili su altri giornali, in ogni caso in Italia è Zucconi a far da Cassazione. Capita anche che Zucconi sia accurato, come l’altro giorno sullo scandalo dei falsi della Cbs. Poco male, in quel caso rimedia la redazione con un titolo che è più falso del falso scoop di Rather: "I repubblicani contro Rather: falsi su Bush, licenziatelo". Ovviamente non erano i repubblicani ad aver avanzato i dubbi, ma gli esperti, i grafologi, il popolo libero di Internet. Dubbi poi confermati dalla Cbs e dallo stesso Rather. La notizia della bufala anti Bush, Rep. l’ha data ieri in poche righe.
(continua nell’inserto I)

 

Vittorio Zucconi ha raccontato la decisione di Bush di togliere le sanzioni commerciali alla Libia. Titolo: "L’America esorcizza Gheddafi: il ‘leader canaglia’ torna tra i buoni". E’ così? No, non è così. Gheddafi non torna affatto tra i buoni, come ha ben specificato l’Amministrazione e com’era scritto a chiare lettere su tutti i giornali americani: "La Libia rimane nella lista dei paesi canaglia". Scrive Zuccopycat che l’America "riprende i contatti diplomatici diretti con l’ex canaglia", ma il New York Times scrive di no, che si tratta solo del ritiro dell’embargo commerciale, semmai di un primo passo verso la riapertura dei rapporti. Chi ha torto, Zucconi o il resto del mondo? Ovviamente Zucconi, e lo ammette lui stesso, più avanti, quando scrive: "Ma la Libia resta nell’elenco degli Stati sponsor del terrorismo, ha debolmente precisato lo State Department con un sussulto di pudore, ed è vero". Ma se "è vero", sia pure "debolmente", perché il titolo dice che "il leader canaglia torna tra i buoni"? Un po’ è il pregiudizio di sinistra, un po’ lo spiega Zuc: in realtà è il solito sporco trucco di un’Amministrazione di imbroglioni, i quali di fronte al fallimento iracheno spacciano per grande vittoria il rinsavimento del vecchio arnese libico. Una carnevalata, insomma: il dittatore ha finto di avere armi per fregare quell’imbelle di Bush, oggi disperatamente alla ricerca di una notizia positiva da gettare in pasto a quei creduloni degli americani. Solo che il ragionamento non sta in piedi neanche per Rep, che in un altro articolo racconta che oggi anche l’Europa ritirerà le sanzioni alla Libia.
L’omicidio dell’immagine (charachter assasination) di un presidente e di un paese è costante e non solo su Rep. I neoconservatori, per esempio, sono stati confusi prima con la destra religiosa, poi con quella militarista, poi sono stati descritti come dei comunisti ridipinti di blu, infine come una lobby ebraica filoisraeliana. Nessuno però ha raccontato che i neocon hanno chiesto l’internazionalizzazione del conflitto sia prima sia dopo l’invasione dell’Iraq, che hanno criticato la gestione del Pentagono della guerra e quella del Dipartimento di Stato del dopoguerra e così via. Anche al Corriere della Sera capita di seguire questa scia, e non solo per aver chiesto a un fondamentalista islamico come Tariq Ramadan di ricordare la strage islamista dell’11 settembre. Ieri Ennio Caretto ha riportato il discorso di Kerry sull’Iraq in modo bizzarro: secondo il giornalista avrebbe proposto "un primo ritiro di truppe ­ quelle alleate incluse, presumibilmente ­ a partire dall’estate prossima". Kerry, invece, ha detto che ridurrà l’impegno americano coinvolgendo un numero di paesi e di truppe alleate sufficienti per vincere in Iraq.
Sul settimanale Vanity Fair, Pino Corrias e Sergio Romano hanno discusso amabilmente di piani operativi preparati dai neoconservatori per scatenare una guerra preventiva contro la Cina in caso di rielezione di Bush. Quali siano le loro fonti non si sa. Ma non importa, in Italia chiunque può scrivere qualsiasi cosa, tanto poi non segue una smentita, ma un’altra bufala.

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