Camillo di Christian RoccaBush e la fine della convention

New York. Chiusa la convention, George W. Bush aspetta i sondaggi per capire se il suo discorso di giovedì sera alla convention ha convinto o no gli americani. Intanto incassa un dato mica male: nel mese di agosto altre 144 mila persone hanno trovato lavoro, portando il tasso di disoccupazione, il tallone d’Achille della sua presidenza, al 5,4 per cento cioè al livello più basso dall’ottobre 2001, quando cominciò la discesa causata dalla crisi post 11 settembre. La ricetta spesa pubblica più taglio delle tasse più deficit di bilancio così grande, come diceva Ronald Reagan, da poter tranquillamente badare a se stesso è stata ribadita da Bush, e secondo gli strateghi la linea del "no tax & spend" è l’unica possibile in tempo di guerra.

Sui temi di politica interna Bush "sembrava un democratico", ha scritto nel suo editoriale il quotidiano liberal Los Angeles Times dal titolo "Coerentemente incoerente", specie quando ha detto che "lo Stato deve aiutare la gente a migliorare le loro vite" e quando ha promesso che "trasformerà" il sistema sanitario, i piani previdenziali. Il neoconservatore New York Sun ha scritto che Bush s’è ispirato al liberal Bill Bradley nella promessa di aprire ospedali nei quartieri poveri e all’ex ministro del lavoro di Clinton, Robert Reich, svelando che punterà sui programmi di formazione dei lavoratori, idea che non è mai piaciuta ai repubblicani. "Il conservatorismo che conosciamo è finito", ha commentato il giornalista conservatore Andrew Sullivan, il quale a novembre non voterà Bush perché ha proposto l’emendamento contro il matrimonio gay e a causa dell’enorme crescita del deficit. Bush, ha scritto Sullivan, "ha fatto la promessa incredibilmente costosa di spendere ancora molti più soldi per aiutare la gente nel modo che i conservatori una volta ripudiavano. Il conservatore fiscale oggi è Kerry". Al New York Times le sue idee sono sembrate vaghe. Christopher Caldwell sul Daily Standard ha scritto che Bush si è presentato come un riformatore radicale e ha trasformato John Kerry nel candidato della conservazione.

(segue dalla prima pagina) George Bush ha dedicato metà del suo discorso di accettazione della candidatura ai temi della sicurezza nazionale, della politica estera, dell’intervento in Iraq e in medio oriente (vedi prima e terza pagina). "Sarà il secolo della libertà", ha detto Bush confermando e rilanciando la sua dottrina di esportazione della democrazia come la migliore arma di protezione a disposizione dell’America e dell’occidente. La parola "pace" è stata pronunciata più volte, come aveva suggerito l’ex speechwriter di Ronald Reagan, Peggy Noonan.
"E’ stato un colpo magistrale", ha scritto sul New York Post il neoconservatore John Podhoretz, mentre Dick Morris, l’ex consigliere di Bill Clinton che nel 2000 votò per Al Gore, ha usato tutto il campionario possibile di aggettivi per definire storico, profondo ed emozionante l’intervento del presidente. Bush ha parlato con un tono calmo, moderato, tanto da sembrare più un discorso sullo "stato dell’Unione" piuttosto che un comizio politico. Secondo un ex speechwriter di Clinton, al confronto ora si nota come alla convention di Boston Kerry sia stato "eccessivamente biografico e autoreferenziale". Lo stile di Bush, continua David Kusnet, riecheggiava l’ode all’America tipica di Reagan, così come sono sembrate clintoniane le dettagliate spiegazioni su come fare in modo che l’economia possa andare meglio per l’americano medio. Bush è stato attento a inserire concetti e riferimenti religiosi nel suo discorso, senza mai apparire come un estremista.
Al New York Times, giornale che Bush ha punzecchiato, il discorso invece non è piaciuto perché vago, non coerente e non credibile, specie quando "ha presentato la pericolosa e caotica situazione in Iraq come la fotografia di una politica estera paragonabile al Piano Marshall". Il Los Angeles Times ha scritto che quando Bush ha detto di avere un piano chiaro e positivo per costruire un mondo più sicuro, probabilmente ha fatto un bel discorso, ma sarebbe stato più convincente se non fosse stato presidente negli ultimi quattro anni. Prova ne è, si legge nell’editoriale, che "nel 2000 Bush si candidò promettendo una politica estera ‘umile’ e diffidando delle ambizioni di occuparsi di altri paesi". Sul Pacifico, evidentemente, si sono dimenticati di cosa successe l’11 settembre del 2001.
Il Washington Post ha giudicato vago il programma di politica interna, ma riconosce la visione strategica di politica estera del presidente rispetto al tirare a campare di John Kerry. Lawrence Kaplan, sulla rivista di centrosinistra New Republic, è giunto alla conclusione che con il discorso di giovedì ormai è chiaro chi tra Bush e Kerry sia il candidato liberal sui temi di politica estera. Kerry è kissingeriano, realista e, come ha detto a Boston, si lamenta del fatto che l’America apra "stazioni di vigili del fuoco a Baghdad, mentre le chiude in America". Bush, continua Kaplan, ha abbracciato la filosofia dell’idealismo e l’interventismo democratico, mai stata popolare tra i repubblicani. Ora è vero il contrario, gli isolazionisti sono i democratici e i repubblicani credono che il modo più saggio di usare la forza americana sia quello di promuovere la liberta. Bush è un misto tra il presidente democratico Woodrow Wilson e il cancelliere tedesco Bismarck, ha scritto Andrew Sullivan.

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