New York. Improvvisamente i due candidati alla Casa Bianca parlano della guerra in Iraq. Fin qui Bush aveva preferito puntare sul pericolo terrorista, visto che le cose a Baghdad non vanno come le aveva programmate. Kerry glielo aveva consentito, tanto che alla convention democratica di Boston la parola Iraq non è quasi mai stata pronunciata, così come il nome di Saddam. Non sapendo bene che posizione prendere, Kerry ha cercato prima di sposarle tutte, poi ha puntato su una guerra di 30 anni fa, quella del Vietnam, per convincere gli americani che lui sarebbe un comandante in capo più efficace di Bush.
I sondaggi però non gli hanno dato ragione (oggi sta sotto di parecchi punti) anche perché sono venute a galla le sue ambiguità sul Vietnam. Così ha accettato il consiglio dell’ex presidente Bill Clinton di parlare di lavoro, di sanità, di economia, cioè dei grandi punti deboli di Bush. Non ha funzionato nemmeno questo, perché la sicurezza e la guerra sono temi prioritari. A poco più di 40 giorni dal voto, lo sfidante ha ricambiato strategia, s’è dotato di una nuova squadra di consiglieri e ha finalmente deciso di concentrarsi sull’Iraq, cioè sulla mala gestione di una guerra che è sulla bocca di tutti. Il problema, però, è che cosa dire. Sfidare un presidente di guerra è pericoloso, perché è difficile che si cambi cavallo in corsa.
Ieri, a New York, Kerry è stato molto efficace e per la prima volta senza freni nel sottolineare gli errori del presidente in Iraq. Le ha sbagliate tutte e non dice la verità su quello che davvero sta succedendo laggiù, è stato il succo del suo discorso. Al contrario di quanto disse un mese fa, Kerry ora sostiene che invadere l’Iraq sia stato un "colossale fallimento" perché ha distratto energie anti Osama, diviso gli alleati e unito i nemici: "Ora l’America è più debole". Ma Kerry non ha rinnegato il voto in favore della guerra, perché in quel momento, ha detto, fu giusto concedere al presidente l’autorizzazione a usare la forza contro chi sembrava in possesso di armi di distruzione di massa. In alcune zone dell’Iraq si è tornati alla normalità, ha detto, ma in gran parte del paese la situazione peggiora di giorno in giorno a causa dell’incapacità e dell’arroganza di Bush. Una su tutte:ha mandato poche truppe in Iraq, nonostante tutti gli avessere suggerito il contrario. Siamo a un passo dal disastro, ha spiegato Kerry sul palco dell’Università di New York, ma questo non significa che dobbiamo andar via: in Iraq bisogna vincere cambiando strategia. "Bisogna restare coerenti" – ha replicato subito Bush – "specie nel mezzo di una guerra".
Un messaggio anche a Chirac
Il programma di Kerry è simile a quello di Bush. Il primo pilastro è guadagnarsi il sostegno internazionale, cioè l’invio di truppe straniere in Iraq. Kerry ha riconosciuto che l’ultima risoluzione Onu ottenuta da Bush va proprio in questa direzione, solo che da allora nessuno degli alleati ha inviato soldati né fornito assistenza al personale delle Nazioni Unite. Kerry crede che, con lui alla Casa Bianca, il resto del mondo rispetterebbe la risoluzione 1546, con Bush al comando questo non sta accadendo. Ma così ha concesso al presidente di aver fatto la cosa giusta, al contrario di Francia e Germania che rifiutano di applicare la decisione dell’Onu.
Kerry ha insistito molto su questo punto oltre che sul coinvolgimento degli alleati nella ricostruzione (punto numero 3 del piano), entrambi essenziali per condividere con il resto del mondo i costi umani ed economici della guerra e per cominciare, la prossima estate, la sostituzione delle truppe americane con quelle alleate, fino a ritirarle entro quattro anni.
Gli altri due punti del piano di Kerry sono identici a quelli di Bush: investire (meglio) nell’addestramento delle forze irachene e non cedere di un millimetro sulle elezioni nel gennaio del 2005, queste ultime fino a ieri considerate una fantasia della propaganda della Casa Bianca. Non una parola, invece, su come affrontare la guerriglia a Fallujah e nel triangolo sunnita, dove le truppe americane non sono mai entrate.
Bush parla oggi alle Nazioni Unite e giovedì riceve alla Casa Bianca il nuovo premier iracheno Iyyad Allawi. Pressato dal nuovo attivismo di Kerry e dalle critiche di senatori del suo stesso partito, Bush ora è costretto a dare risposte, per esempio a John McCain, il quale ha detto che "non ci potranno essere elezioni se non ci sbarazziamo dei santuari dei terroristi a Fallujah e Samarra". Domenica Bush ha fatto trapelare il suo piano: entro la fine dell’anno, ovvero dopo le elezioni, inizieranno le operazioni militari per disarmare Fallujah e le altre città in mano ai fondamentalisti.