New York. C’è un candidato che ha paura di perdere, e non è George W. Bush. Magari John Kerry non ci pensa, magari ricorda che gli è capitato spesso di vincere al fotofinish quando ormai tutti lo davano per spacciato, magari crede che con il dibattito di stasera, in Florida, possa già recuperare terreno su un presidente che è nettamente in vantaggio secondo tutti i sondaggi e su tutti i temi della campagna elettorale. Magari, ma non è così. I giornali americani ieri segnalavano che solo tre dei famosi Stati in bilico tendono verso Kerry, gli altri sarebbero pronti ad abbracciare Bush. E non solo quelli, ma anche un paio di Stati già segnati nella casella dei Democratici. Come il New Jersey, roccaforte storica del partito.
La paura di perdere è evidente negli editoriali dei giornali liberal, nei commenti a mezza bocca di funzionari della campagna Kerry, nello sconforto dei militanti. Il de profundis è stato celebrato nelle settimane scorse con articoli e inchieste sul fallimento della strategia elettorale elaborata da Bob Shrum, l’uomo che avrebbe dovuto essere il Karl Rove di Kerry e che invece sta confermando la sua fama di splendido perdente. Kerry ha chiesto aiuto a Bill Clinton, l’unico democratico ad aver vinto un’elezione presidenziale negli ultimi 28 anni. L’arrivo dei clintoniani ha ridato speranza ai democratici. Improvvisamente Kerry è sembrato più sciolto, più diretto, meno attento alle "nuance", alle sfumature. Finalmente ha attaccato Bush alla giugulare, accusandolo del fallimento in Iraq, dei disastri nel mondo e quasi anche dell’uragano Jeanne. Sono partite le "ola" sui giornali e i sorrisi sono ricomparsi. Ma è durata solo un paio di giorni, poi sono arrivati i nuovi sondaggi e s’è scoperto che l’ennesima svolta kerrysta non è piaciuta agli americani e che il divario non s’è assottigliato d’un millimetro.
La paura di perdere ha colpito anche George Soros, il miliardario anti Bush che solo un paio di mesi fa era certo che Kerry potesse entrare alla Casa Bianca. Ora non lo è più, al punto da aver annunciato un ulteriore impegno personale e finanziario per aiutare lo sfidante. Soros non solo spenderà altri 3 milioni di dollari del suo patrimonio personale, ma ha iniziato un tour di 12 comizi nei quali è lui stesso a spiegare quanto sia importante sconfiggere questo presidente. Gli argomenti anti Bush non mancano, ha scritto il Washington Post citando le preoccupazioni di parecchi elettori democratici, quelle che mancano sono le motivazioni per votare Kerry. Soros fin qui ha fatto di tutto per sconfiggere Bush. Ha donato 14 milioni e mezzo di dollari ad America Coming Together, per convincere i cittadini a registrarsi e a votare; 2 milioni e mezzo a MoveOn.org, il più radicale dei movimenti anti Bush; tre milioni di dollari ad altri gruppi vicini ai democratici.
Nel dibattito di stasera, che avrà come unico argomento la politica estera, Kerry tenterà di far riflettere gli americani sull’errore commesso in Iraq, non tanto e non solo perché lì la situazione è caotica ma soprattutto perché ha distolto energie dalla lotta al vero nemico, Osama bin Laden. Kerry ha così deciso di giocarsi le ultime carte utilizzando quella stessa "politica della paura" che da sempre è imputata alle ciniche manipolazioni di Karl Rove, stratega elettorale di Bush. Il cambiamento di strategia è evidente oltre che "altamente rischioso", come ammettono gli stessi consiglieri di Kerry. I democratici ora spiegano "qualche volta senza prove", puntualizza il Post che un secondo mandato di Bush potrebbe causare un numero più alto di vittime in Iraq, un altro Vietnam, la leva obbligatoria e finanche un attentato nucleare (ma quest’ultima è di Ted Kennedy, e qui nessuno fa caso a quello che dice Ted Kennedy). Ma giocare con la paura della gente è un’arma a doppio taglio per Kerry. In questo modo dà l’impressione che solo un evento catastrofico possa salvarlo e, soprattutto, rischia di fare un favore al candidato che gli elettori giudicano come il più forte e il più deciso contro il terrorismo. E non è John Kerry.
30 Settembre 2004