Camillo di Christian RoccaMeno 11 punti e un libro primo in classifica, ora Clinton consiglia Kerry di lasciar perdere il Vietnam

New York. Due diversi sondaggi, uno di Time e l’altro di Newsweek, rivelano che in vista delle elezioni presidenziali del 2 novembre John Kerry è andato improvvisamente sotto di 11 punti percentuali (52 a 41 e 54 a 43) rispetto a George W. Bush. Nello stesso giorno, domenica, in testa alla classifica del New York Times dei libri più venduti è schizzato "Unfit for command", inadatto a comandare, la denuncia degli ex commilitoni di Kerry sia sulla sua condotta in Vietnam sia da leader del movimento pacifista una volta tornato negli Stati Uniti.

Una connessione tra i sondaggi e la classifica dei libri c’è, tanto che l’ex presidente Bill Clinton, dall’ospedale di New York dove è stato appena operato al cuore, ha parlato per 90 minuti con Kerry e gli ha consigliato di non menzionare mai più il Vietnam nelle prossime settimane, cioè gli ha spiegato che l’intera impalcatura della sua campagna elettorale è destinata al fallimento. Ancora sabato, Kerry aveva cercato di mettere una pezza alle accuse contenute nel libro, e per settimane ripetute in due efficacissimi spot televisivi, accusando Bush e il vicepresidente Dick Cheney di antipatriottismo per non aver servito il paese in Vietnam. Inutile, e forse dannoso anche perché, come ha scritto il New York Times, sono un milione gli americani che all’epoca si adoperarono per evitare il Vietnam, e nessuno di loro pensa di aver tradito la patria.
Tra i democratici, ora che i sondaggi sono così tiepidi, è cominciata la gara dell’io l’avevo detto, una tiritera di accuse a Kerry per non aver risposto immediatamente agli spot. Nessuno parla più di "sporchi trucchi" dei repubblicani né dell’uso spregiudicato dei gruppi politici che secondo l’articolo 527 del codice fiscale possono eludere la ferrea legge sui finanziamenti elettorali e trasmettere spot contro un candidato. Ed è ovvio perché: è stato proprio Kerry il primo, e il più efficace, a sfruttare lo stratagemma.
Secondo Newsweek, Kerry s’è infuriato con i capi della sua campagna elettorale, in particolare con Mary Beth Cahill, per non aver capito che l’attacco al suo record di eroe della guerra in Vietnam e poi di eroe pacifista avrebbe avuto un effetto così devastante. Mentre quasi tutti i democratici gli intimano di rispondere a tono, anzi di attaccare, l’unico democratico ad aver vinto una corsa presidenziale dal 1976, cioè Clinton, gli suggerisce di non sprecare più energie su un tema perdente e scivoloso come il Vietnam e, piuttosto, di criticare Bush sulla crisi economica, sulla perdita dei posti di lavoro e sul sistema sanitario.
Kerry domenica sera ha tentato ancora una sortita alla baionetta sulla politica estera, accusando Bush di avere rapporti incestuosi con il regime saudita, ma l’attacco è stato subito rintuzzato dai bushiani, i quali si sono chiesti se il nuovo consigliere di politica estera di Kerry fosse Michael Moore. In realtà Kerry ha davvero cambiato il suo gabinetto strategico, assumendo o promuovendo una serie di ex consulenti di Clinton, come Joe Lockhart, James Carville, Paul Begala, Stanley Greenberg (il quale s’è appena dimesso da un gruppo ex articolo 527), e parecchi altri tra cui l’ex stratega di Michael Dukakis, John Sasso. Eppure Mary Beth Cahill e lo stratega in capo Bob Shrum, per adesso, continuano a guidare la campagna nonostante il crescente peso dei consulenti e dei consigli clintoniani.

Una storica caratteristica del senatore
La confusione è evidente, ma è una storica caratteristica di Kerry quella di trovarsi a poche settimane dal voto a un passo dalla sconfitta. Poi, con un colpo di reni finale, riesce sempre a vincere la partita. Gli è successo nelle corse senatoriali e capitò anche a gennaio, quando sembrava già sconfitto da Howard Dean e poi, con un cambio dei consiglieri elettorali, vinse facilmente.
Stavolta, però, c’è di mezzo il Vietnam. Davvero non si capisce come Kerry abbia potuto pensare che non gli si ritorcesse contro. Kerry in questo guaio s’è cacciato da solo, pensava che la cosa migliore da fare fosse puntare al punto più forte di Bush, cioè la sicurezza nazionale, perché le difficoltà in Iraq avevano aperto uno spiraglio. L’idea era quella di accreditarsi come più credibile di Bush come comandante in capo, proprio grazie alle decorazioni guadagnate in Vietnam. Ma Kerry, dopo tre mesi in Vietnam, è diventato il portavoce del movimento dei reduci pacifisti, quelle decorazioni le ha ripudiate e ha accusato i suoi commilitoni di aver compiuto i più brutali crimini di guerra. "Se Kerry fosse stato soltanto uno dei tanti politici che mettono in evidenza la propria esperienza militare, non me ne sarebbe importato ­ ha scritto l’autore del libro John O’Neill, il quale contesta Kerry dal 1971 ­ ma di fronte alla commissione Esteri del Senato ha mentito alle spese dei suoi ex compagni", accusandoli di crimini di guerra per fare carriera nel movimento pacifista.

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