Camillo di Christian RoccaLe parole della campagna elettorale

Dieci parole, o frasi, della campagna elettorale americana, solo dieci. Un decalogo per fare un figurone con gli amici e fingersi esperti di geopolitica per spiegare come e perché ha vinto l’uno o l’altro candidato. Che cosa si sono detti i due contendenti la Casa Bianca? Di che cosa hanno discusso? Su che cosa si sono accapigliati Bush e Kerry? Ecco le dieci cose che dovete sapere.

Girlie-man (femminucce)
Femminucce, please, alla larga. La campagna elettorale non è roba per "girlie-man". Sarà un caso ma questa definizione sulla presunta "mollezza" degli avversari non è né di George Bush né di John Kerry. Girlie-man è pensiero, opera e parola di Arnold Schwarzenegger, il governatore macho della California che aspetta solo che tolgano il divieto di candidarsi alla Casa Bianca per chi è nato all’estero per dimostrare agli americani come si fa una campagna elettorale da uomini veri. Girlie-man è entrato nel glossario politico Usa, e non ne uscirà più.

Neocon
Sui giornali e in tv si sente parlare sempre dei "neocon", formula breve che sta per "neoconservatore". Si tratta di uno sparuto gruppo di ex intellettuali di sinistra passati in gran parte con i repubblicani ai tempi di Ronald Reagan (anni Ottanta). Sono lo spauracchio della sinistra, che li considera traditori, ma anche dei repubblicani tradizionali, icosiddetti "paleocon", cioè i vecchi conservatori, che li giudicano rivoluzionari mandati dalla sinistra a far danni a destra. Le loro idee aiutarono Reagan a sconfiggere il comunismo sovietico, ora hanno convinto George Bush ad applicare la dottrina del "regime change", cioè il cambio dei regimi dittatoriali in Medio Oriente. Si autodefiniscono dei "liberal assaliti dalla realtà", cioè liberali e di sinistra ma con la testa ben salda sulle spalle. La campagna irachena li ha però trasformati in "liberal assaliti dalla realtà del Medio Oriente".

Veterani per la Verità
E’ stata la formula più in voga dell’estate politica 2004, la chiave di volta di una campagna elettorale in cui si è parlato più della guerra in Vietnam, che di quella in Iraq. Sono un gruppo di ex commilitoni di Kerry che ha firmato una serie di attacchi al candidato democratico attraverso spot televisivi e un libro, "Unfit for command". La loro tesi è che Kerry in Vietnam non si sia comportato da eroe. Prove non ne hanno fornito, solo un paio di contestazioni minori hanno trovato conferme. La formula ha funzionato così bene che un gruppo filo Kerry ha tentato di sfruttare la stessa scia "per la Verità", utilizzando uno slogan simile: "I Texani per la Verità". Costoro avrebbero dovuto smascherare i favoritismi ricevuti nel 1972 dal giovane Bush per non andare al fronte. I texani per la Verità sono stati cancellati dallo scandalo della Cbs e di Dan Rather.

Rathergate
Dan Rather è uno dei grandi giornalisti televisivi americani. Ai tempi del Vietnam faceva domande così toste a Richard Nixon che una volta il presidente gli chiese: "Scusi, ma lei è candidato a qualcosa?". "No – rispose il giornalista – e lei?". Rather da più di vent’anni conduce tutte le sere il telegiornale della Cbs, ma ora la sua reputazione è in pericolo. Il Rathergate no ha avuto lo stesso effetto dirompente del Watergate né del Monicagate ma per settimane non s’è parlato d’altro in America, confermando la tesi secondo cui hanno un pregiudizio di sinistra. Rather ha trasmesso due documenti del 1972 sui favori ricevuti da Bush quando servì il suo paese nella Guardia Nazionale in una base dell’Alabama. I documenti però erano falsi, contraffatti malamente con un computer. Se ne sono accorti un paio di blog su Internet. In un primo momento Rather ha fatto finta di niente, poi ha detto che erano accuse provenienti dai repubblicani, infine ha ammesso di aver sbagliato. La sua credibilità è stata spazzata via. Quella dei bloggers è in rapida crescita.

Green light
John Kerry ha detto più volte che non attenderà "la luce verde" né dall’estero né dalle istituzioni internazionali se fosse necessario usare la forza militare per difendere gli interessi americani. L’espressione "non attenderemo la luce verde dall’estero" è stata rivendicata dai Democratici ogniqualvolta i repubblicani hanno accusato Kerry di voler affidare l’ultima parola sulla sicurezza interna alle bizze degli alleati esteri o ai burocrati dell’Onu.

Quarta Guerra Mondiale
A settembre è uscito un saggio di Norman Podhoretz sulla rivista Commentary (e in Italia sul Foglio) che ha introdotto una nuova chiave di lettura della guerra al terrorismo. Non si tratta solamente di una lotta per sconfiggere un gruppo di terroristi, ma una vera e propria guerra su scala mondiale dichiarata da una parte dell’Islam all’Occidente e al mondo libero. Questa nuova guerra mondiale che stiamo vivendo segue le due note guerre del Novecento e la terza, quella Fredda, contro l’impero sovietico. E’ la tesi anche di alcuni intellettuali liberal come Paul Berman e Christopher Hitchens: dopo aver affrontato e sconfitto i precedenti totalitarismi, cioè fascismo, nazismo e comunismo, ora è il turno dell’islamismo radicale.

Shove it
Ogni volta che Tereza Heinz Kerry ha aperto bocca, in tv e sui giornali se ne è parla per settimane. Secondo alcuni analisti, i suoi disinvolti atteggiamenti sono stati dannosi per suo marito, specie quando a un giornalista che le rompeva le scatole ha mostrato il dito e detto: "Shove it", un modo appena un po’ più gentile dell’italiano "ficcati questo". Da quel momento i comici televisivi non hanno fatto altro che giocare su questa battutaccia sdoganata dall’aspirante first lady.

Il cervello di Bush
Bush è idiota, scemo, cretino, ignorante, disarticolato, dislessico, un pupazzo nelle mani di suo padre. Anzi no, dei neocon. Anzi no, di Cheney. Il suo cervello sarebbe stato appaltato a Karl Rove, il cinico stratega della sua campagna elettorale. Sul "cervello di Bush" sono stati scritti libri e girati documentari. Pochi hanno avuto il coraggio di dirlo pubblicamente, ma discutere del "cervello di Bush" certo è stato l’argomento più affrontato a microfoni spenti. Il tema porta con sé una contraddizione: se Bush è scemo, al punto che di aver bisogno di un cervello in prestito, chi ha perso contro di lui, che cos’é?

Cheney Rocks
Il vicepresidente Dick Cheney è uno duro e ogni volta che apre bocca pare Darth Vader, il cattivone di Guerre stellari. "Li distruggeremo", ripete Dart Cheney quando parla dei terroristi, cioè sempre. I suoi non sono comizi, ma Apocalypse Now. "Cheney Rocks", urlano i fan del vicepresidente che lo paragonano a Elvis Presley e credono, come Jessica Rabbit, che in fondo lui non sia cattivo. Solo che lo disegnano così.

Flip flop & Nuance
"Flip flop", banderuola, è stato il sottofondo che ha inseguito ovunque Kerry. A differenza di un presidente che non cambia idea nemmeno con le cannonate (anzi!), Kerry è uno che non tiene la stessa posizione neanche cinque minuti, un po’ come Massimo Moratti con gli allenatori dell’Inter. "Io colgo le sfumature", si è difeso Kerry introducendo nel dibattito un’altra parola: "nuance". Un termine con due difetti nell’America post 11 settembre: è d’origine francese e suona bene solo in bocca a una femminuccia.

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