Caro Christian, mentre è finalmente uscito il nuovo cd dei Tears for Fears delle cui traversie avevamo parlato due mesi fa, ripenso a quel loro vecchio verso che diceva “kick out the Style, bring back the Jam”, che da giovane mi offendeva sempre un po’. Io non ero di quei duri e puri che pensavano che il miglior Paul Weller fosse quello rock dei Jam, e anzi per ragioni anagrafiche andavo matto per gli Style Council (ho ancora un’invidiabile collezione di diciotto loro EP in vinile). Di conseguenza plaudo alla decisione di Paul Weller di tenersi ancora sul melodico nel suo nuovo disco tutto di covers, che si chiude ambiziosamente nienetpopodimeno che con “birds” di Neil Young. When you see me fly away beside you…
Caro Luca, non so di cosa tu stia parlando, “come on, I’m talking to you, come on”. Il rock di Paul Weller non è mai stato rock vero, piuttosto una specie di “glam rock”, da glamour, insomma un rock fighetto mentre i Consiglio di Stile sembrano più una rubrica di Panorama che un gruppo musicale. Comunque qui in America va forte l’uso del verbo to rock, che vuol dire dondolarsi ma in maniera figa, alla maniera di Elvis Presley. Ti ricordi quando Elvis the Pelvis faceva la mossa? “Elvis rocks”, si diceva ai tempi. Mentre ora sono i fan del partito di Bush, i repubblicani, a scriverlo nei cartelli elettorali a proposito del vicepresidente Dick Cheney: “Cheney rocks”. Nonostante sia nato sulle Rocky Mountains del Wyoming, avresti mai pensato che per qualcuno, Bush a parte, Cheney fosse un figaccione? Be’, io no (e non dire perché mi chiamo Rock).
Caro Christian, no, non lo avevo pensato: anzi, vedo che molti sostengono che porti sfiga a tutti quelli con cui ha collaborato, ma queste sono maldicenze. In fondo sarà un brav’uomo anche lui, come Darth Vader. Comunque, alla seconda pagina di questo libro che sto leggendo c’è uno che dice “Voglio assassinare il presidente”: è un libro tutto di dialogo tra sole due persone e ne avevo letto molto bene sull’Economist. Si chiama “Checkpoint”. Non so ancora se alla fine ce la farà, ma dubito: questo presidente è troppo scemo per farsi assassinare.
Caro Luca, è uscito finalmente in cd “The name of this band is Talking Heads”, uno dei dischi più belli del gruppo di David Byrne. E’ un live del 1982. Lo intitolarono così perché Byrne cominciò il concerto dicendo proprio “il nome di questo gruppo è Talking Heads”. Per noi è una stranezza, ma gli americani sono fatti così: si presentano sempre. Spesso non fai a tempo a dire il tuo nome che, zac, ti ammollano il biglietto da visita. Capisco che sia cortese, ma se uno va al concerto dei Talking Heads si presume che sappia che quel gruppo si chiama Talking Heads, no? Pare di no. Anche in politica funziona così. Alla convention di Boston, John Kerry ha iniziato il suo discorso dicendo: “Mi chiamo John Kerry”. Ma va? In realtà, portandosi la mano destra sulla fronte, ha aggiunto anche “reporting for duty” cioè “a rapporto”, come si dice in caserma. Forse, però, in quel caso Kerry ha fatto bene a persentarsi con nome e cognome: sai, “a rapporto” più il saluto militare, qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per Bush.
Caro Christian, me lo ricordo quel disco: c’era una fantastica versione di Psycho Killer (faffà faffafa…). Ti ricordi di quella ridicola cover fatta da gente vestita da pollo che si chiamava Psycho Chicken? E soprattutto, dimmi una cosa: anche a New York è pieno di pirla che hanno scritto “narcotraffico” sulla maglietta o li mandate a Guantanamo?
Caro Luca, qui ho visto le seguenti magliette: Bin Laden-Bush 2 a 0; Chi vota Bush vota Bin Laden; Fuck Bush – Kuck Ferry; Bush guerrafondaio; Bush criminale di guerra; Bush terrorista; Bush bugiardo; Gioventù rivoluzionaria comunista contro Bush. Poi, per fortuna, c’è l’America vera.