Camillo di Christian RoccaRummy esporta lo schema Samarra, Bremer critica (se stesso?)

New York. Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha spiegato alla platea del Council on Foreign Relations che l’operazione militare condotta a Samarra, città irachena fino alla settimana scorsa in mano ai nostalgici di Saddam, sarà il modello da seguire per conquistare le altre città del triangolo sunnita oggi fuori dal controllo del nuovo governo iracheno e della coalizione: "Quello che deve essere fatto nel paese è sostanzialmente quello che abbiamo fatto a Samarra nelle ultime 48 ore", ha detto Rumsfeld. Nei giorni scorsi, prima sul New York Times e poi sul Washington Post, sono stati svelati i progetti per la riconquista del triangolo a nord di Baghdad subito dopo le elezioni americane di novembre ma prima di quelle irachene previste per la fine di gennaio 2005. C’è anche la questione Baghdad, però. Rumsfeld ha detto che la capitale "is the big casino" e "se non si controlla Baghdad non si controlla l’Iraq".
A Samarra un contingente di cinquemila uomini, duemila dei quali iracheni, è entrato in città, conquistandola isolato dopo isolato. Negli scontri sono caduti un centinaio di insorgenti iracheni e un solo americano, mentre secondo il Wall Street Journal in battaglia si sono distinti i trecento uomini di quel 36° battaglione del nuovo esercito iracheno che, nel 2003, furono arruolati dal tanto vituperato Iraqi National Congress di Ahmed Chalabi. La parte più difficile ora è quella di mantenere il controllo della città. La chiave del successo, ovviamente, è la presenza del contingente iracheno, non soltanto perché è più adatto a confrontarsi con gli abitanti di Samarra, ma anche perché rende credibile l’autorità del governo provvisorio del premier Iyyad Allawi.
Il modello Samarra è gradualista, ha spiegato Rumsfeld. Ci sono tre fasi: "Prima si tenta la via diplomatica, a volte funziona a volte no. Poi si minaccia l’uso della forza e, se non sortisce effetti, la si usa. Questo è quello che è successo e credo che quello che vedrete nel paese sarà un governo iracheno che sistematicamente deciderà di non accettare l’idea di rifugi sicuri per terroristi stranieri ed ex uomini del regime che vanno in giro a minacciare e uccidere la gente".
La prossima fermata potrebbe essere Fallujah, la piccola cittadina che è la bandiera per gli insorgenti e da mesi un cruccio, quasi una sindrome, per gli americani che esitano a entrare in città per paura che il costo delle vittime civili possa essere troppo alto. La decisione, ha spiegato Rumsfeld all’opinionista David Brooks del New York Times, verrà presa dal governo iracheno insieme con l’ambasciatore americano John Negroponte, i generali George Casey e Thomas Metz e, naturalmente, coinvolge la Casa Bianca, il Pentagono e il Dipartimento di Stato. Riprendersi o no una città dipende da una serie di fattori: innanzitutto dal fatto se esistano truppe irachene sufficienti a ripetere l’operazione militare andata in porto a Samarra, e poi se il costo dell’offensiva militare possa danneggiare la prospettiva di tenere le elezioni.
Reuel Marc Gerecht, sul Weekly Standard, ha criticato questa strategia attendista, così come l’idea sia di Bush sia di Kerry di affidare le operazioni militari alle truppe irachene. Non riprendersi le città, subito e usando i marines, riempie d’orgoglio e fortifica gli insorgenti e dimostra loro che aveva ragione Osama bin Laden, quando diceva che gli americani sono deboli e codardi. Secondo Gerecht, questo è l’ultimo di una lunga serie di errori dell’Amministrazione commessi in Iraq, a cominciare dal non essere riusciti a prevedere i saccheggi alla caduta del regime, a non aver arrestato i capi del Baath che oggi guidano la guerriglia e all’aver fatto rientrare i marines nelle basi. Ieri anche l’ex governatore americano a Baghdad, Paul Bremer, cioè l’architetto della situazione oggi sul terreno, ha criticato il Pentagono per non aver inviato in Iraq truppe sufficienti a pacificare il paese.

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