Camillo di Christian RoccaSpin Alley, dove si decide chi ha vinto il dibattito

Tempe (Arizona). Il terzo dibattito televisivo tra George Bush e John Kerry si è concluso alle 4 e 30 di questa mattina italiana. Ma per sapere se ha "vinto" il presidente, se ha "prevalso" lo sfidante oppure se i due contendenti hanno "pareggiato" non è necessario aver ascoltato con attenzione il piano di assistenza sanitaria dell’uno o la riforma fiscale dell’altro. Qui all’Università dell’Arizona, così come a Miami e a St. Louis nelle settimane scorse, la vera gara è cominciata al fischio finale della sfida ufficiale. E si è giocata nella Spin Alley, il girone infernale della manipolazione politica e giornalistica, una specie di "Processo del lunedì" con Karl Rove e Terry McAuliffe al posto di Aldo Biscardi e Maurizio Mosca. La Spin Alley è uno spazio adiacente la sala del dibattito che viene invaso dal team Bush e dal team Kerry per influenzare a caldo la percezione di ciò che giornalisti e spettatori hanno appena visto in televisione.
E’ una specie di luna park per i giornalisti, i quali per un’ora e mezzo hanno a disposizione Karl Rove e Hillary Clinton, gli strateghi dell’uno e i consiglieri dell’altro e i manager di entrambe le campagne elettorali. Ciascuno di loro è accompagnato da giovani assistenti dotati di Blackberry, il telefono-agenda che pare non si possa non avere a Washington. Il gruppo è seguito da un attendente che tiene in alto, e bene in vista, un enorme cartello con il nome del personaggio che si trova davanti a lui, in modo che da lontano chiunque possa tenere d’occhio chi è sceso nella Spin Alley. Gli effetti spesso sono comici. A St. Louis, dopo il secondo dibattito presidenziale, un gruppo di giornalisti ha troncato bruscamente le risposte di un consigliere della Casa Bianca per correre dietro a un cartello che diceva: "Senatore John Kerry". Facendosi largo e spintonando qua e là, gli intrepidi giornalisti hanno inseguito il cartello fin sul retro della Spin Alley per scoprire, poi, che si trattava solo di un tizio che stava riportando il cartello di Kerry, sprovvisto di Kerry, in magazzino. Tutti girano, corrono, vanno da una parte all’altra, sempre seguiti da cartelli e Blackberry e telecamere e giornalisti. Oltre a Rove, McAuliffe e Hillary i più attivi a spiegare la grande performance del proprio candidato sono Karen Hughes, Ed Gillespie, Andrew Card (per i repubblicani) e Joe Lockhart, Mike McCurry, Rand Beers e Mary Beth Cahill (per i democratici). A St. Louis il generale filo-Kerry Merrill McPeak, ligio al dovere, è rimasto immobile per oltre un’ora a rispondere alle domande, mentre una signora nera che il cartello dietro di lei spiegava essere la presidentessa dell’AARP non riusciva a trovare nessuno che volesse ascoltare il suo parere. Richard Holbrooke s’è sentito porre la seguente insidiosa domanda da un giornalista di una tv francese: "Spieghi soltanto perché Kerry è migliore di Bush". Il circo è completato da un limitato numero di supporter dei due candidati, ai quali è permesso di sventolare i poster elettorali alle spalle di chi viene intervistato in tv.
E’ una vera e propria arte quella dell’interpretazione a proprio favore dell’evento appena visto in diretta televisiva. Chi scende nell’arena è pronto a rispondere a tutto e a tutti, anche a finti giornalisti di trasmissioni televisive tipo "Le Iene" che non si capacitano del fatto che i democratici dicano di aver vinto e i repubblicani pure. Terry McAuliffe, il presidente dei democratici, è il più abile di tutti. Fa una prima puntata nella Spin Alley parecchie ore prima, e inizia a influenzare i giornalisti spiegando che Bush non ha alcuna chance di vittoria; poi ritorna dieci minuti prima della fine del dibattito e già saluta la grande vittoria mentre la partita è ancora in corso. Karl Rove, a St. Louis, ha adoperato un’altra tattica: la sua prima mezz’ora di Spin Alley è stata dedicata a una decina di interviste a televisioni degli Stati in bilico, Pennsylvania, Ohio, Florida e così via. E’ lì che si gioca la presidenza, quindi è lì che si deve spiegare che il proprio candidato è andato benissimo.
Ciascuno dei contendenti ha un ufficio stampa in loco per contestare, a dibattito in corso e in tempo reale, la frase detta da uno oppure per denunciare l’ambiguità della posizione dell’altro. A St. Louis sono stati più veloci e preparati i repubblicani con 12 contestazioni di fatto a Kerry, contro le 6 dei democratici a Bush. Cinque minuti dopo la fine del dibattito l’ufficio stampa di Kerry però ha distribuito un’antologia di commenti a caldo espressi dagli opinionisti televisivi per dimostrare che è stato un trionfo. Insomma, è come se dopo un Inter-Bologna finito 0-3, tifosi eccellenti e dirigenti sportivi provassero a modificare l’opinione di chi ha assistito alla partita. I democratici, grazie al loro miglior rapporto con la stampa, non perdono mai (al massimo pareggiano), tanto che anche a Ronald Reagan capitava di uscire sconfitto dalla Spin Alley. Bush invece perde sempre, sia quattro anni fa con Al Gore sia oggi con Kerry. Negli ultimi 24 anni i sondaggi post dibattito della Gallup, con l’eccezione degli anni di Bill Clinton, hanno sempre proclamato un vincitore che poi il giorno delle elezioni è stato sconfitto.

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