New York. Come annunciato ieri dal Foglio, George W. Bush ha stravinto le elezioni americane con più di tre milioni e mezzo di voti di vantaggio rispetto allo sfidante John F. Kerry. Non c’è stata alcuna contestazione, al contrario di quanto erano già propensi a scrivere i giornali italiani, pronti dunque a sbagliare analisi per il secondo giorno consecutivo. Li ha salvati in extremis John Kerry, il candidato sconfitto. Ieri mattina il senatore del Massachusetts ha chiamato il presidente e gli ha concesso la vittoria.
Bush oggi è il presidente americano più votato di tutti i tempi, con oltre 58 milioni di preferenze e ha superato il record di Ronald Reagan del 1984. Il riconfermato Bush ha mantenuto tutti gli Stati che aveva vinto nel 2000, con l’eccezione del piccolo New Hampshire, ma ha conquistato due Stati che quattro anni fa andarono ad Al Gore, cioè New Mexico e Iowa. Il numero dei Grandi elettori conquistati è 286 (come previsto due giorni fa dal Foglio), 16 in più della maggioranza necessaria, 15 più di quattro anni fa.
Negli Stati dove la corsa avrebbe dovuto essere decisa all’ultima scheda, per Bush è stata una vittoria a valanga: in Florida ha distanziato Kerry di quasi 400 mila voti (52,2 per cento a 47 per cento); in Ohio ha vinto con oltre 130 mila voti di scarto. In generale gli Stati repubblicani sono diventati più repubblicani, mentre in quelli democratici la differenza si è assottigliata con l’eccezione della Pennsylvania, dove Kerry è andato molto bene, nonostante l’impegno di Bush.
La vittoria politica del presidente è totale. Al Senato i repubblicani hanno guadagnato quattro seggi e ora lo controllano agevolmente con 54 senatori contro 45 (1 è indipendente). Ora per Bush sarà molto più facile ottenere il lasciapassare sulle nomine dei giudici, compresi quelli della Corte suprema. Anche alla Camera la maggioranza repubblicana s’è consolidata, con tre nuovi seggi. I referendum contro le nozze gay, e in un paio di casi anche contro le unioni civili omo ed eterosessuali, sono stati approvati ovunque con un margine altissimo, confermando come le teorie sulle "due Americhe" siano campate in aria: su famiglia, aborto, porto d’armi, riduzione delle tasse e sicurezza nazionale gli americani non sono affatto divisi a metà, anzi condividono con percentuali superiori al 60 per cento le idee del presidente. Un referendum favorevole alla ricerca scientifica sugli embrioni è stato approvato in California, ed era sostenuto dal governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger.
La vittoria di Bush ha confermato il genio di Karl Rove, capo della strategia elettorale della Casa Bianca. Da tre anni Rove insiste su un punto: per vincere bisogna galvanizzare la base, conquistare i voti dei cristiani e mobilitare sul territorio una rete di militanti. Nell’ultimo anno Bush ha vietato l’aborto tardivo, limitato l’uso dei fondi federali per la ricerca sugli embrioni e proposto l’emendamento costituzionale contro il matrimonio gay. Mentre i democratici mettevano insieme rockstar, attori molto chic e immaginavano frotte di giovani pronti a cacciare Bush, i repubblicani hanno costruito una formidabile rete di porta a porta ben radicata negli Stati in bilico. Ecco perché Bush ha guadagnato voti in quasi tutte le contee di Florida e Ohio.
Wonkette e Zogby hanno fatto danni (in Italia)
E allora perché martedì notte, in Italia, s’è diffusa la notizia della vittoria di Kerry? E’ successo questo: nel primo pomeriggio di New York un sito Internet molto liberal, Wonkette.com, ha ricevuto dai democratici e prontamente pubblicato due exit poll che davano un ampio margine di vantaggio a Kerry. In tv nessuno ne ha parlato, un po’ per non influenzare le operazioni di voto appena iniziate, un po’ perché i dati non potevano essere affidabili, trattandosi di un’indagine limitata alle prime ore della mattina e con campioni non equilibrati. Sui siti di destra s’è comunque diffuso il panico, nonostante i più avveduti invitassero alla calma. Gli "early exit poll" sono stati ripresi dalle agenzie di stampa italiane e giudicati attendibili dai giornali. Poi è arrivato un sondaggio, non un exit poll, di John Zogby (uno che l’anno scorso aveva infranto le regole augurandosi la vittoria di Kerry). Mentre in Italia si festeggiava e già si stilavano gli organigrammi della nuova Amministrazione Kerry, in America si continuava a votare. A votare Bush.