Camillo di Christian RoccaLargo Fochetti

Nella splendida cornice di Largo Fochetti, quartiere della Garbatella in Roma, la pugnace redazione di Repubblica (Rep.) si sta battendo come un leone per fermare la pericolosa deriva a destra del proprio editore e per ottenere, quantomeno, l’apertura nell’edificio di un bar interno (affidato al cuoco Vissani) che possa fornire pizzette e supplì di un certo livello ai republicones impegnati fino a tarda ora nella meritoria opera di educazione civile del paese. I giornalisti sono stati, per usare un termine molto usato in questi giorni dai protagonisti della vicenda, "deportati" dalla storica sede di Piazza Indipendenza al periferico e poco chic quartiere della Garbatella. L’indirizzo è Largo Fochetti, appunto, ma il direttore Ezio Mauro, uomo molto eclettico per il resto, ha almeno un paio di idiosincrasie con cui dover fare i conti. Mauro, come svelato dal Foglio un paio di settimane fa, non riesce a pronunciare, figuriamoci a votare, la parola Gad, il nuovo nome dell’Ulivo. Stessa cosa con Largo Fochetti. Al direttore viene l’orticaria quando sente Largo seguito da Fochetti. Così ha dato disposizione di non nominare mai la Gad e di trasformare il passo carraio della nuova sede, che si trova in Via Cristoforo Colombo 90, nell’ingresso della redazione in modo da poter mostrare al mondo un indirizzo più adatto al prestigio del giornale.
Il trasferimento nella sede di Largo Fochetti non è stato indolore e non solo per le comprensibili lamentele dei cronisti. E’ successo che la deportazione ha esasperato i rapporti tra la redazione e il management della società editrice. I giornalisti hanno inviato una lettera formale al consigliere delegato del gruppo, Marco Benedetto, accusato di non voler incontrare i sindacalisti del nuovo comitato di redazione. Benedetto ha risposto il 19 novembre con un memorandum lungo almeno quanto un’inchiesta del duo Bonini&D’Avanzo. Simile anche il linguaggio burocratico. Le 10-pagine-10, infatti, si intitolano: "Nota sulla vertenza legata al cambiamento di sede del giornale". Il tono è subito di sfida e, diciamolo, padronale: "La vertenza ha assunto toni aspri l’azienda ha scelto finora di non rispondere". Ora, invece, "si ritiene opportuno precisare alcuni fatti". Punto numero uno: "L’azienda si è opposta ad ogni concessione economica", e su questo i republicones possono stare freschi. Il padrone ha spiegato che soldi in più non ce ne saranno, né mollerà telefonini gratis per tutti. "Il suo tono è sempre un poco intimidatorio", hanno risposto formalmente i giornalisti tre giorni dopo. E pensare che il nuovo comitato di redazione aveva cercato di non farsi influenzare dalle voci che si rincorrevano sul "dottor Benedetto". Quali? Eccole, riportate per iscritto, dal comitato di redazione: "In una buona parte della redazione correva la voce che proprio Lei, il nostro interlocutore principe, nutrisse nei confronti dei giornalisti una sorta di sprezzante baldanza".

"Un club di pariolini schizzinosi e arroganti"
L’amministratore di Rep., nella sua missiva, ha spiegato il motivo del trasferimento. Intanto è un trasferimento, non altro: "Appare poco appropriata oggi l’espressione, che molti giornalisti usano, di sentirsi deportati", "quella espressione appare anche poco rispettosa verso quelle migliaia di lettori di Repubblica che in quella zona vivono e lavorano senza sentirsi umiliati né deportati". Non solo. "La vicenda è tra l’altro tracimata all’esterno, facendo dei giornalisti di Repubblica oggetto di scherno, da parte di giornali che hanno avuto buon gioco a dipingere i suoi redattori come un club di pariolini schizzinosi e arroganti". I giornalisti hanno risposto con un "lesinare, negare, resistere anche davanti all’evidenza. Questo è un comportamento, se non formalmente, sostanzialmente antisindacale". Sappiate, ha avvertito Benedetto, che vi poteva finire peggio: "Sarebbe stato più facile e meno costoso trovare una sede fuori o nelle vicinanze del Grande Raccordo Anulare". Invece, buoni come il pane, i manager hanno scelto la Garbatella, "distante da Montecitorio 1.500 metri in più dell’attuale sede". Con un’inchiesta vecchio stile, i puntuti giornalisti hanno precisato: "Rifaccia i calcoli. La distanza che intercorre tra Montecitorio e la nuova sede non è, come Lei ha tenuto a comunicarci, di 1500 metri superiore a quella che intercorre tra la stessa Montecitorio e Piazza Indipendenza, bensì di 2 chilometri e 300 metri (Fonte: mappa satellitare di Kataweb)".
Ora i republicones minacciano di rinfacciare coram populo "una serie di meschinerie" di un editore che "per quanto ci riguarda potrebbe essere di destra". La redazione, ottenuti i panini al foie gras di Vissani, non molla la lotta sui telefonini e sulle stampanti a colori. Sarà un po’ più dura la battaglia per quella che non considerano affatto "un’esigenza superflua", cioè "un’automobile di servizio con autista per i servizi esterni". Lo chauffeur in effetti pare un’esigenza meno superflua rispetto all’elicottero che la direzione mise a disposizione di Giuseppe D’Avanzo, la Christiane Amanpour di Rep., per battere sul tempo la concorrenza miseramente mobilitata in autovettura. Davanpour però non riuscì ad atterrare nel Molise terremotato. Tornò indietro e lo raggiunse il giorno dopo. In macchina.

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