New York. Colin Powell si è dimesso da segretario di Stato senza sbattere la porta, ringraziando George W. Bush e il popolo americano "per il grande onore" concessogli con l’opportunità di servire il suo paese: "Sono lieto di aver fatto parte della squadra che ha lanciato la guerra globale al terrorismo e liberato il popolo afghano e quello iracheno", ha scritto nella lettera di dimissioni. I ringraziamenti sono stati calorosamente ricambiati da Bush. Powell ieri ha svelato che da più di un anno tra lui e il presidente era chiaro che si sarebbe dimesso alla fine del primo mandato. Resterà al comando del dipartimento di Stato per, parole sue, "portare avanti il programma di politica estera del presidente" fino a quando il processo di nomina e di conferma al Senato del suo sostituto non sarà completato. Sarà, dunque, ancora Powell a guidare la diplomazia americana al vertice sull’Iraq in Egitto e nella già prevista missione europea di dicembre.
Bush nominerà il nuovo segretario di Stato "il più presto possibile", ha detto ieri il portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan. La favorita è Condoleezza Rice, la fedelissima che fin qui ha guidato il Consiglio di Sicurezza nazionale (posto che andrebbe al vice di Rice, Stephen Hadley, oppure, meno probabilmente, a Paul Wolfowitz). L’altro candidato è l’ambasciatore all’Onu, l’evangelico John Danforth. La terza ipotesi, più remota, è ancora Wolfowitz, l’architetto della politica di promozione della democrazia in medio oriente, cioè della strategia ufficiale dell’America contro il fondamentalismo arabo e islamico. Con Powell si sono dimessi anche altri tre ministri: dell’Istruzione, dell’Energia e dell’Agricoltura.
La chiave di interpretazione per capire le intenzioni di Bush nel suo secondo mandato va ricercata nelle pieghe del rimpasto dentro il gabinetto di guerra, allargato al dipartimento della Giustizia, alla Cia e al team che guida la transizione in Iraq. I primi cambiamenti, ma anche le parole pronunciate da Bush, sia dopo l’elezione sia nel vertice con Tony Blair di venerdì, fanno intuire che il presidente ha individuato nelle classiche tensioni tra Pentagono e dipartimento di Stato e nei contrasti tra le varie agenzie di intelligence una delle cause dei problemi in Iraq. Il neocon Richard Perle, ex vice ministro alla Difesa ai tempi di Ronald Reagan, descrive come normali e comprensibili queste tensioni, perché la funzione del segretario di Stato è quella di cercare le vie diplomatiche mentre il Pentagono deve tenersi pronto a usare la forza se la diplomazia dovesse fallire: "E’ sempre stato così, la tensione c’è stata in tutte le Amministrazioni. Powell è un grande americano che ha avuto soltanto la sfortuna di guidare gli sforzi diplomatici in una guerra contro al Qaida, i talebani e Saddam, rispetto ai quali la diplomazia non è un’opzione".
Il 2005 è l’anno buono
Bush sa che ha poco tempo a disposizione. Il 2006 sarà anno elettorale, per il voto di metà mandato. Subito dopo lui stesso diventerà "un’anatra zoppa", per usare un’espressione cara alla politica americana, sarà cioè indebolito dal fatto che l’attenzione si concentrerà sul processo di nomina del suo successore. L’anno in cui potrà spendere in pieno il capitale politico guadagnato con la vittoria del 2 novembre, dunque, è il prossimo. Ecco perché avrà riguardo di scegliere come ministri chi non sprecherà tempo in polemiche interne e farà parlare l’Amministrazione con una sola voce. Risponde a questo criterio la scelta di nominare il suo consigliere legale Alberto Gonzales al dipartimento di Giustizia, al posto dell’evangelico John Ashcroft, che aveva posto dubbi sui confini extra giudiziari della gestione dei terroristi. Anche la nomina di Porter Gross a capo della Cia, e il suo pugno forte per riorganizzare l’Agenzia, riflettono questa esigenza. David Brooks ha scritto sabato sul New York Times che in questi anni la Cia ha fatto una vera e propria opposizione a Bush, passando ai giornali ogni tipo di informazione possibile per metterlo in difficoltà, consentendo a un suo agente di scrivere un libro anonimo contro l’idea di democratizzare il mondo arabo e, secondo i più critici, impegnandosi più contro Ahmed Chalabi che contro al Zarqawi. Ieri, tra l’altro, proprio per contrasti con Porter, si sono dimessi due capi dei servizi segreti. Alla fine della settimana scorsa è andato in pensione anche John MacLaughlin, l’ex vice del precedente direttore della Cia, George Tenet. A completare il quadro si è dimesso anche Robert Blackwill, il conservatore vecchio stampo che ha guidato la transizione irachena.