Le intenzioni del secondo mandato di George W. Bush stanno prendendo forma in questa settimana di dimissioni e nomine. Ieri il presidente ha annunciato che Margaret Spellings sarà il nuovo ministro dell’Educazione, in sostituzione del dimissionario Roderik Paige. Spellings ha lavorato con Bush quando era governatore del Texas, ed è una delle ideatrici della legge "No child left behind" che ha stanziato investimenti per le scuole più povere. La nuova segretaria all’Educazione gode di un "grande rispetto bipartisan" al Congresso, ha detto Ted Kennedy, il quale al Senato co-sponsorizzò la legge di Bush. L’educazione "è vicina al mio cuore", ha detto Bush, e per questo ha deciso di affidarla a una signora convinta che "ogni bambino abbia il diritto di imparare", oltre che a una fedele collaboratrice. Il New York Times sosteneva ieri che il filo conduttore di queste designazioni è proprio la fedeltà al presidente: Bush vuole cioè consolidare i rapporti di lunga data, valorizzando l’esperienza come la fiducia. La nomina del nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale, Stephen Hadley, risponde a questa logica.
Hadley è un lavoratore indefesso, studia, legge, scrive, si fa vedere poco in giro, evita le telecamere, le interviste, le occasioni pubbliche, sta in ufficio fino a tarda ora tanto che dicono abbia un "pallore da prigione", mal celato da un grosso paio di occhiali. E’ un avvocato che, alla Casa Bianca, molti chiamano "papà", per quel suo fare tranquillizzante e affettuoso. I primi commenti sulla sua nomina al posto di Condoleezza Rice (di cui è stato il vice) hanno sottolineato la sua fedeltà all’Amministrazione. "E’ un uomo che si è guadagnato la mia fiducia", ha detto Bush quando lo ha nominato. Il nuovo consigliere per la Sicurezza ha già dimostrato di saper affrontare le conseguenze delle sue decisioni, quando ha ammesso di non aver letto attentamente i dossier sull’uranio prodotti dall’allora capo della Cia, George Tenet, e di aver quindi la responsabilità di quelle "16 parole sbagliate" pronunciate dal presidente nel discorso sullo stato dell’Unione nel 2003, parole che sostenevano che Saddam aveva acquistato materiale nucleare dal Niger, quando invece aveva soltanto trattato l’acquisto. Il "sacrificio" per salvare il suo capo, Rice, e il capo del suo capo, Bush, è stato ricompensato, dicono acidi i commentatori, con una bella promozione, che per di più tranquillizza l’Amministrazione: un meticoloso e attento esecutore non può creare problemi, non è nella sua natura. Ma dietro alla fedeltà ci sono le convinzioni di Hadley e la sostanza del ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale che non è quella di creare o suggerire politiche o strategie, ma di coordinare il lavoro dei vari ministeri e delle agenzie di intelligence e poi di riportare al presidente le diverse idee all’interno del suo gabinetto di guerra. Hadley possiede doti conciliatorie: si definisce un "facilitator", una persona in grado di ricomporre gli attriti. E’ lui l’ideatore del "Wednesday Group", il pranzo settimanale di tutti i vice dei membri del gabinetto presidenziale, in cui esporre le proprie idee e risolvere le eventuali incomprensioni.
I timori dei liberal verso i "fedelissimi"
Questi consiglieri "troppo fedeli" suscitano nei commentatori liberal il timore che possano rimanere incastrati nel voler essere accomodanti con il presidente al punto di presentargli piani d’azione che confortano le sue tesi ma che non rispecchiano la verità dei fatti. E’ la stessa accusa che in questi quattro anni è stata fatta all’interpretazione che Condoleezza Rice ha dato al suo ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale. Il pragmatismo è, però, una caratteristica del nuovo governo. Lawrence Kaplan ha scritto sulla rivista liberal New Republic che il presidente ha capito, nel suo primo mandato, "ciò in cui credere" e che, a livello di esecutivo, "non è più una questione di ideologia", ma di concretezza nella gestione delle attività giorno per giorno. Al punto che persino la "prevista" fuoruscita di Donald Rumsfeld non dovrà trarre in inganno. E’ improbabile che Rumsfeld lasci il Pentagono con le operazioni militari ancora in corso e con le elezioni irachene imminenti. Se ne riparlerà forse più in là. Ma già si fanno i nomi del possibile sostituto. S’era detto di John McCain, senatore indipendente nel partito repubblicano e tenace sostenitore dell’esportazione della democrazia. L’ultima idea, prospettata da Kaplan, è Joe Lieberman, l’uomo che nel 2000 per un soffio non diventò Dick Cheney. Era il falchissimo vice di Al Gore.