Milano. "La crisi è ora", ha detto George W. Bush al termine del vertice economico che si è tenuto mercoledì e giovedì alla Casa Bianca. "Magari non ve ne siete accorti, probabilmente non siete stati sommersi di lettere che vi chiedono di risolvere la questione, ma sappiate che la crisi è adesso". Il presidente americano parlava della Social Security, il programma federale di previdenza sociale nato negli anni del New Deal. In un paese abituato ad affrontare i problemi prima che diventino emergenze o calamità, chi governa non ha timore di mettere al primo punto del programma la riforma del sistema pensionistico. La Social Security ha previsto che nel 2018, a causa dell’invecchiamento della società, le entrate saranno inferiori alle pensioni erogate. Per qualche anno i benefici non subiranno tagli, grazie all’attuale surplus di bilancio della Social Security. Ma la stessa stima prevede che nel 2042 il sistema comincerà a essere insolvente, avrà i soldi per pagare soltanto tre quarti delle pensioni promesse.
Sebbene i leader del partito democratico e le associazioni dei pensionati ora sostengano che la situazione non sia poi così grave, il primo a spiegare che la bancarotta stava per arrivare fu Bill Clinton.
La soluzione di Bush, presentata in campagna elettorale e rilanciata al vertice, è quella di avviare la trasformazione dell’America in una "società di proprietari". Al di là degli slogan, il progetto (non ancora definito nel dettaglio) prevede la gestione diretta, anzi la proprietà, di parte del proprio conto pensionistico e, in futuro, anche di un’assicurazione sulla salute. Anziché affidarsi alla pensione o alla sanità garantite dai contributi pubblici, i nuovi americani di Bush otterrebbero sgravi fiscali da Washington per comprarsi la propria assicurazione pensionistica e sanitaria.
Non cambierà nulla per chi è già in pensione, né per chi ci sta per andare, ma fatti due conti i lavoratori più giovani non potranno godere degli stessi benefici garantiti oggi. Per ovviare a questi tagli, saranno invogliati a utilizzare una parte dei contributi che oggi versano alla Social Security, su conti di investimento privato a propria scelta, una soluzione che secondo Bush garantirà ai pensionandi una rendita maggiore rispetto alla previdenza sociale federale.
Secondo i detrattori si tratta di una privatizzazione del sistema pensionistico, e in parte lo è, nonostante alla Casa Bianca non piaccia l’uso del termine. Più precisamente è un sistema misto. Il problema, in tempi in cui il bilancio federale è in forte deficit, è quello del reperimento dei fondi per pagare la riforma. Nei prossimi dieci anni alla Social Security servirà almeno un migliaio di miliardi di dollari per sostituire quei contributi che saranno spostati sui conti privati. Una soluzione è quella di aumentare le ritenute previdenziali, cioè le tasse, ma è un’idea che a Bush da un orecchio entra e dall’altro esce. Se si riforma subito il sistema, dicono alla Casa Bianca, il costo sarà meno oneroso e soprattutto arriverà il favore dei mercati. Le opinioni degli esperti sono divisi, così come i senatori del Partito democratico. Bush avrà bisogno del voto di sette democratici per far approvare la riforma. Circolano già voci sui due senatori di New York, dunque su Hillary Clinton. Se la senatrice approverà la privatizzazione, si alienerà la base, che è decisiva nella scelta del candidato 2008. Se voterà no, sarà etichettata come la solita liberal. Un aiuto potrebbe arrivarle dal primo presidente, come ha riconosciuto Bush, ad aver proposto la parziale privatizzazione del sistema: Bill Clinton.
18 Dicembre 2004