Camillo di Christian RoccaMartin Peretz e il futuro dei Democratici

Roma. Martin Peretz è il direttore editoriale, nonché il proprietario, di The New Republic, il settimanale di analisi politica più longevo di Washington. Peretz è un liberal, cioè uno di sinistra, e il suo giornale ha sostenuto la candidatura di John F. Kerry alle ultime elezioni di novembre. Vive a Cambridge, la città di Harvard, l’università più liberal d’America, dove ha insegnato a lungo. E’ un grande amico di Al Gore, l’ex vicepresidente di Bill Clinton che nel 2000 fu sconfitto da George W. Bush per un soffio. Negli otto anni di Amministrazione democratica, New Republic si poteva vantare di essere il giornale più letto sull’Air Force One, l’aereo presidenziale.
Ma se si parla di politica estera, di sicurezza americana e di difesa dello Stato di Israele, Martin Peretz è molto più vicino ai neoconservatori che ai suoi amici democratici. Due settimane fa, con un saggio di Peter Beinart che è "un atto d’accusa contro la candidatura Kerry", New Republic ha aperto il dibattito sul futuro del partito. Peretz ne ha parlato con Il Foglio, e ha detto che "per prima cosa i democratici dovranno riconoscere chi sono i nostri amici e individuare i nostri nemici. Poi dovranno comprendere che il totalitarismo islamista è una minaccia seria almeno quanto il totalitarismo sovietico. Se non lo faranno, sarà difficile che tornino alla Casa Bianca".
Peretz dice che John Kerry vorrebbe riprovarci nel 2008, "ma resterà deluso". Secondo il patron di New Republic, il senatore del Massachusetts non ha infatti nessuna speranza, intanto "perché è stato fin dall’inizio l’ultima scelta di ogni elettore Democratico". Kerry non piaceva a nessuno. Alle elezioni primarie, anche New Republic gli aveva preferito qualcun altro: il falchissimo Joe Lieberman. Kerry è stato un candidato "non attraente", dice Peretz. "Non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi" e non ha convinto gli americani a fidarsi di lui: "Voleva affidare tutto alle Nazioni Unite, il famoso ‘test globale’ che l’America avrebbe dovuto superare prima di poter agire. Gli americani sanno benissimo che cos’è l’Onu, anche perché sta a New York. Tra l’altro mi chiedo che cosa succederebbe se la sede da New York venisse spostata a Lagos, in Nigeria: scomparirebbe. Kerry era sempre a disagio quando doveva parlare di terrorismo, ha cercato in tutti i modi di minimizzare il pericolo, paragonandolo alla prostituzione, al gioco d’azzardo, al traffico di droga".
Peretz non si pente di aver schierato il suo giornale per Kerry ("è stata una scelta della maggioranza dei redattori e io non volevo imporre nulla") ma è convinto che Al Gore questa volta avrebbe potuto battere George Bush, "ovviamente sto parlando dell’Al Gore precedente alla svolta antagonista di questi ultimi anni". Oggi è ancora troppo presto per immaginare il possibile candidato democratico per il 2008: "I repubblicani però sono messi molto meglio. C’è Rudy Giuliani, c’è John McCain, anche se – in maniera diversa – sono fin troppo liberal per il loro partito". I nomi che si fanno sul fronte dei Dems "spesso non li conosco nemmeno io", dice Peretz: "Ottime persone, come il governatore dell’Iowa Tom Vilsack o il senatore dell’Indiana Evan Bayh, ma non mi sembrano gli uomini adatti, e in ogni caso non è soltanto un problema di candidati, è necessaria una strategia vincente".
Il primo passo sarà la nomina del nuovo presidente del Comitato nazionale del partito, a febbraio. Il candidato più coccolato dalla stampa è, al solito, il populista di sinistra Howard Dean. Uno dei favoriti è Harold Ickes, "un fedelissimo dei Clinton, uno che è rimasto fedele anche quando il presidente lo licenziò dalla Casa Bianca". Sostiene Peretz che se Ickes diventasse il nuovo capo dei democratici, con ogni probabilità Hillary Clinton riuscirebbe a essere la candidata per il 2008, perché le elezioni primarie verrebbero disegnate e organizzate a suo maggior beneficio e potrebbe contare sull’appoggio dell’establishment del partito.
Hillary avrebbe poche possibilità di essere eletta: "Soffre di gran parte di quei problemi che hanno afflitto Kerry. Metà del paese non la sopporta. Il partito democratico ha un forte istinto suicida, ma è difficile che prenda questa strada. Non è un problema ideologico, anche perché Hillary in realtà è più moderata rispetto a gran parte del partito, specie sui temi di politica estera. Il punto è che la odiano e basta. Metà delle femministe non la vuole per il modo in cui ha gestito il tradimento del marito, mentre alla sinistra liberal non piace per le sue idee sulla guerra e su Israele, una posizione che invece va a genio agli ebrei ortodossi di Brooklyn. Nel partito, a parte Ickes, non c’è nessuno che la appoggi veramente".
I democratici avranno anche un altro problema, dice Peretz. Perdono pezzi. Joe Lieberman, che fu il candidato alla vicepresidenza con Al Gore e candidato alle primarie all’inizio di quest’anno, "è pronto a diventare in qualche modo un repubblicano. Anzi è probabile che Bush lo nomini ministro della Sicurezza nazionale".
Peretz è convinto che gli Stati Uniti siano un paese moderato, non di destra: "Il punto è che in America, come ovunque, i liberal hanno un problema con la religione: la disprezzano. E questo atteggiamento fa perdere il consenso di chi sta con i Democratici su altri temi. Capita la stessa cosa con il patriottismo. I liberal non sono antipatriottici, sono solo annoiati di amare il proprio paese. Ovviamente c’entra la sindrome del Vietnam. Se non supereranno questa inibizione, sarà difficile tornare a vincere. E se ci riuscissero, di fronte a una situazione difficile non sarebbero in grado di governare". La sinistra americana, secondo Peretz, deve abbandonare il filone che da Susan Sontag a Michael Moore sostiene che "noi siamo responsabili di ogni cosa e che l’11 settembre è da imputare a una nostra colpa".
Il suggerimento del capo di New Republic è questo: "C’è da abbandonare l’idea che le elezioni si possano vincere parlando di assistenza sanitaria. E’ un tema che non scalda la gente, specialmente di questi tempi. Sono convinto che ci sia da riformare il sistema previdenziale, ma i liberal devono pensare di più alla politica estera, capire che c’è un nemico e che c’è il terrorismo. E poi battersi perché il paese abbia un apparato spionistico che oggi non c’è, considerare la Francia come un avversario e smetterla con questa fissazione multilaterale nelle Nazioni Unite. L’Onu è avviata sulla stessa strada della Lega delle Nazioni, cioè alla chiusura. Non è interessata alla giustizia. La Carta delle Nazioni Unite, per dirne una, avrebbe difeso la Polonia dall’aggressione della Germania nazista. E’ una Carta che protegge l’integrità territoriale degli Stati membri, ma la maggior parte degli Stati membri non è composta da vere nazioni. I peggiori orrori del mondo capitano lì. Ma l’Onu non ha mai avuto la voglia e la capacità di affrontarli".