Camillo di Christian RoccaKrugman contro Obama perché non è abbastanza radical, ma al NYT resta isolato

New York. I giornali dell’Iowa e del New Hampshire, i primi due stati che il 3 e il 9 gennaio apriranno le urne per i caucus e le primarie americane, hanno già deciso quali candidati repubblicani e democratici sostenere alle elezioni (in tre hanno scelto John McCain, uno a testa Hillary Clinton e Barack Obama). Il New York Times non s’è ancora schierato, ma gli interna corporis del più prestigioso quotidiano degli Stati Uniti – sebbene sia stato appena costretto a cambiare un titolo anti Casa Bianca in seguito alla protesta della portavoce di George W. Bush – sono utili a cogliere le tendenze dentro il mondo liberal. Il Times sceglierà un democratico, ma quale? Hillary Clinton o Barack Obama, oppure John Edwards?
Il Times deciderà in tempo per le primarie di New York del 5 febbraio, ma le star del giornale si sono già esposte. La penna corrosiva e chic di Maureen Dowd è tornata a pestare sui Clinton, cosa che ai tempi le valse il Pulitzer, e a ricamare intorno a Obama, da lei affettuosamente chiamato “Obambi”. Anche l’altra gran dama del Times, Gail Collins, spiritosa almeno quanto la Dowd, preferisce Obama a Hillary. Così come il comandante in capo delle truppe progressiste, Frank Rich. Anche lui sta con Obama e diffida della Clinton. Tende per Obama anche il neoconservatore David Brooks, oltre che per il repubblicano John McCain.
Poi però c’è Paul Krugman, l’interprete dello spirito radicale della sinistra americana, il guru progressista e l’economista di gran fama sempre sull’orlo di vincere il Nobel. L’Economist, per dire, lo ha definito “una specie di Michael Moore, però pensante”, a causa delle sue dotte previsioni apocalittiche sull’economia americana che però non trovano mai riscontro nella realtà. Krugman solitamente si scatena contro i repubblicani verso i quali, ha scritto il garante dei lettori del Times, “ha l’inquietante abitudine di rimodellare, di tagliare a fette e di citare in modo selettivo i numeri”. Da qualche settimana, però, Krugman è impegnato in una furibonda e bizzarra guerra contro Obama che preoccupa non poco l’entourage del senatore dell’Illinois, molto più di quanto le critiche dell’economista pro Obama Robert Reich alla sua amica Hillary Clinton infastidiscano la campagna dell’ex first lady.
Obama si presenta come il candidato del cambiamento, l’unico in grado anche per ragioni anagrafiche di poter chiudere l’era della guerra culturale tra liberal e conservatori cominciata negli anni Sessanta. Krugman, invece, dice che Obama è il candidato della conservazione e raccoglie sui blog radicali consensi ed entusiasmi, proprio nel mondo dove Obama spera di trovare maggiori consensi. Per Krugman, i richiami bipartisan di Obama sono un cedimento al fronte conservatore, così come la sua ingiustificata preoccupazione sulla solvibilità del sistema pensionistico e, soprattutto, il suo piano sanitario che, a differenza di quello di Hillary ed Edwards, non impone l’assicurazione obbligatoria per tutti gli americani. Obama ha risposto con una contro-inchiesta sul pensiero di Krugman, non capacitandosi del fatto che ad agosto l’opinionista da Nobel avesse definito la sua proposta “intelligente e seria”.

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