Oggi un bell’articolone di quelli che ci volevano proprio, scritto con le sue proprie mani da Giuseppe D’Avanzo, a proposito della barbarie delle intercettazioni:
"Repubblica.it, che giovedì ha affrontato il "caso Saccà", è stato una barbarie. Parola da intendere in senso proprio. La scena messa su dal sito di Repubblica ha creato «condizioni di vita estranee o contrarie a un modo di organizzare l´esistenza» improntato alla civiltà, alle buone maniere, a regole e responsabilità. (…) Il peggio, in ogni caso, lo offre il sito web del giornale. Organizza una home page che rende incomprensibile la "materia del contendere". Davvero quelle ragazze segnalate da Berlusconi (e i telespettatori) hanno compreso quali sono le circostanze e "i principi" messi in gioco dal "caso Saccà"? La ricostruzione, gonfia di emotività, suggestioni, commozioni, li ha come rimossi. Repubblica.it ne propone la chiave concettuale. Dice: non ci interessano le regole, la forma che doveva rispettare Saccà, non ci interessano i suoi errori anche probabili. Ci interessa "la sostanza", il resto sono "quisquilie". Repubblica.it sembra ignorare (o voler ignorare) quanti orrori possono accadere quando un suo articolo arriva al massimo dell´indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni. Sembra non comprendere che un potere che schiaccia un giornalista, e un giornalista che non si cura delle procedure, sono due aspetti della stessa barbarie. Altro che quisquilie, perché se al politico gli si può interdire il voto, al giornalista no. L´unica garanzia che abbiamo è che rispetti le regole perché un potere sostanzialistico e punitivo ha sempre la vocazione a espandersi oltre i limiti definiti dalle norme che lo regolano. Può contagiare il costume giornalistico. Alla fine, valorizza la mano forte e metodi che possono diventare persecutori, di giustizia preventiva. Sono questi i messaggi "barbarici" che il servizio internet di Repubblica ha diffuso con il suo sito senza voler considerare la vera e propria disinformazione firmata da Marco Travaglio. Ammesso che Travaglio fosse lì come giornalista e non come leader del largo movimento d´opinione che fa riferimento a Beppe Grillo, davvero si può rappresentare l´intero sistema politico italiano come governato dal massone Licio Gelli? (…) La barbarie del sito di Repubblica dovrebbe farci chiedere che cosa deve essere l´informazione del servizio pubblico. Se è «dare le notizie» e «accrescere la conoscenza», come si potrebbe ipotizzare, l´obiettivo è stato del tutto mancato: notizie alquanto confuse, disinformazione; non c´è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto". (*)
22 Dicembre 2007