Sempre più arrampicato sugli specchi, Daniele Luttazzi ne escogita altre due per Dagospia, dopo le improbabili quattro dei giorni scorsi. La nuova versione è questa: 1) il suo non era un monologo, ma una battuta, mentre quello di Hicks era un monologo e non una battuta. Fa ridere, in effetti. Anche perché fino all’altro ieri era lui stesso a dire che il suo era un "monologo" a cui aveva lavorato "un anno e mezzo", ma dall’ex consigliere comunale della Dc che non capì una mazza del Ciagate, nemmeno una, ci si può aspettare questo e altro; 2) Hicks, dice ora Luttazzi, "imitava per cinque minuti il giornalista reazionario guerrafondaio Rush Limbaugh, una cosa del tutto diversa" rispetto al suo monologo o alla sua battuta, whatever. Grazie a YouTube, ascoltate voi se è una cosa del tutto diversa. E, soprattutto, se è vero che Hicks si limitava a imitare Rush Limbaugh. Naturalmente, non è vero.
Infine il capolavoro, in maiuscolo e in neretto, "NON C’E’ UNA BATTUTA AMERICANA IDENTICA ALLA MIA", scrive Luttazzi. La prova? Quell’americano che gli ha ispirato un’altra battuta, scrive Luttazzi, s’era inventato una definizione di "santorum", mentre lui, "non è poco", l’ha artisticamente cambiata in "giulianone". Più che Rabelais, mi pare Arsenio Lupin.
A proposito di "NON C’E’ UNA BATTUTA AMERICANA IDENTICA ALLA MIA", ancora una volta nessuna parola luttazziana su "come si fa a capire quando una mosca scoreggia? Improvvisamente vola dritta” sua, rispetto all’originale “You know how you can tell when a moth farts? When he suddenly flies in a straight line” di George Carlin.
19 Dicembre 2007